Chi vuol esser lieto sia

Lorenzo_de_MediciChi vuol esser lieto sia/ di doman non v’è certezza  (Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico)

Essere lieti è assolutamente fondamentale. Dobbiamo preservare le nostre energie, usarle sempre per il meglio. La letizia ci aiuta in questo esercizio, impegnativo ma indubbiamente molto, molto utile e profittevole. Possiamo usare per fini costruttivi energie che di solito disperdiamo nelle seccature quotidiane e nel rimuginare sui nostri problemi derivanti dai rapporti con il nostro prossimo.

Badate, secondo me essere lieti non significa comportarsi da menefreghisti. Anzi direi il contrario. Ha piuttosto a che fare con il distinguere quello che possiamo controllare da quello che invece non possiamo controllare. Questo vuol dire, fra le altre cose, che possiamo usare le nostre energie risparmiate per intervenire quando possiamo farlo per aiutare un nostro simile nel momento del bisogno, senza peraltro esaurire le nostre pile.

Una nota sui versi del Magnifico in apertura: molti interpretano il secondo verso (“di doman non v’è certezza”) come un invito a non fare progetti di alcun tipo e magari cercare una vita di “divertimento”. Secondo me vuol dire invece che, proprio perché non sappiamo se “domani” (cioè nel futuro) ci saremo ancora, è bene agire “oggi” (cioè in questo momento) per essere felici e stare bene con sè stessi e con gli altri, portando avanti i nostri progetti.

Lettura consigliata:  La perfetta letizia secondo San Francesco

La vita è sogno, o i sogni aiutano a vivere?

calderon-de-la-barcaSe, come dice il poeta, la vita è sogno,  ne deriva che possiamo svegliarci. In altre parole, la ‘situazione’ in cui viviamo è una nostra interpretazione. Nella nostra testa, mettiamo insieme i segnali che ci arrivano dall’esterno e giudichiamo, giudichiamo, giudichiamo… Ma i nostro giudizio è realtà, o sogno? Ovvero, qualcosa di reale, o qualcosa che ci inventiamo, né più né meno che come succede quando sogniamo?

Chi ci dice che il nostro giudizio sia corretto? E qual è il giudizio corretto? Esiste la possibilità di dare un giudizio assoluto, definitivo sulla realtà che ci circonda? O non è piuttosto che ogni situazione cambia a seconda del punto di vista e dell’opinione che ce ne formiamo, o addirittura dall’umore con cui ci siamo svegliati la mattina?

Non è per caso che ci conviene svegliarci quando il “sogno” diventa depotenziante? Cioè, quando ci inchioda in una sorta di cerchio? Non che il cerchio sia negativo in sé. Va benissimo quando ci dà soddisfazione. Se invece ci fa stare male, allora perché rimanerci? Cominciamo a pensare: Svegliati! Svegliati!. 

Può sembrare semplice. E lo è. Richiede soltanto un po’ di pratica. Poco a poco troveremo delle soluzioni alle quali, mentre dormivamo, non avremmo neanche osato pensare.

Lettura consigliata: Pedro Calderon de la Barca, La vita è sogno

Madonna dei popcorn

A prima vista, la spiaggia bianca era bellissima. Difficile credere che il colore fosse dovuto a degli scarichi industriali. Eppure.

Ma non c’era tempo di pensarci. Sergio non vedeva l’ora di arrivare a casa. Settecentoottantaquattro chilometri, undici ore e spicci di viaggio. Non sempre alla guida, certo. Da Spalato ad Ancona c’era il traghetto. Comunque, era stata lo stesso una follia, uno stress incredibile. Gli veniva in mente poi quella barzelletta tremenda. Un treno di gente malata, mezzi in carrozzella, che torna da Lourdes. E il tizio che da banchina urla: avete trovato chiuso?????

Loro erano in macchina e non in treno, ma si poteva in definitiva dire lo stesso. Anzi, alla fine Lourdes sarebbe stato più vicino, sicuramente più comodo da raggiungere. Ma niente, bisognava andare a Medjugorie. Che poi, lui non lo sapeva neanche pronunciare. Gli era venuto fuori Popcorn. Da allora Lia non gli aveva più rivolto la parola, e aveva la netta sensazione che tra loro le cose non sarebbero state più le stesse. Aveva provato a spiegarglielo almeno un centinaio di volte: non era stata una battuta. Quel nome proprio non lo sapeva dire. Niente, si era offesa.

Del resto, parlare con lei era sempre stato difficile quando si impuntava. Poi era successa ‘sta cosa. Dopo che Tiziana era nata, i primi mesi erano passati come sempre succede tra pappe pannolini e notti in bianco. Le avevano dato il nome della bisnonna materna, insomma la nonna di Lia, e come lei Tiziana era tranquilla, nella media dei bambini della sue età, esattamente come la bisavola. Poi, un bel giorno, era andata in arresto respiratorio. Sergio riviveva spesso quei momenti sotto forma di fotogrammi ammucchiati. Corri, corri. Chiama l’ambulanza. Mammamia mammamia. Tiziana, Tizianina! Scale. Camici. Corridoi. Palpitazioni. Odore di disinfettante.

La piccola era stata ripresa per i capelli, ma il medico di turno mise le mani avanti. Per cominciare, non si era riusciti a capire da cosa fosse dipeso l’arresto, per cui poteva succedere di nuovo in qualsivoglia momento. Nel caso, era facile che la paziente ci lasciasse le penne. Poi, la mancanza di ossigeno al cervello era durata un bel po’. Bisognava vedere cos’era successo.

Tiziana quindi rimase in ospedale per circa un mese. Dopo averla rivoltata come un calzino, si concluse che non ci si capiva nulla. Di certo, c’erano stati danni al cervello. Probabilmente la bambina non avrebbe mai camminato né parlato. Certo non si poteva dire, i neuroni sono ridondanti, e la paziente era ancora molto piccola. Magari gli impulsi nervosi sarebbero riusciti a bypassare le aree danneggiate. Insomma, qualcosa si poteva fare. C’è sempre speranza.

Da quel momento, la situazione si era fatta strana. Cioè, Sergio trovava tutto abbastanza normale. La piccola aveva bisogno di assistenza. Ebbene, avrebbe fatto tutto il possibile e anche di più. Certo, sarebbe stato meglio che non fosse successo. Ma le cose stavano così. Si poteva solo affrontare la situazione.

Lia, invece, l’aveva presa decisamente male. Come se avesse chiuso tutti i boccaporti. Passava ore a guardare il crocefisso sopra il letto in camera. Sergio aveva provato a parlare con sua moglie, ma era più facile dialogare col muro. Non riusciva più ad avvicinarla, in nessun senso. Aveva cominciato poi ad andare a messa tutte le mattine. Un bel giorno gli aveva comunicato la propria decisione di andare a Medjugorie con la bambina, a chiedere la grazia. Da sola con Tiziana in braccio. A piedi.

Non sapeva nemmeno lui come aveva fatto a convincerla, ma ce l’aveva fatta. Quantomeno, l’avrebbe accompagnata lui, in macchina. Non ci sarebbero mai arrivate, altrimenti. In un primo momento, era stato tentato di mandarla a quel paese. Ma voleva bene alla bambina, e dal momento che le cure sembravano non funzionare, chissà mai.

Ora, eccoli sulla via del ritorno. Si erano ammucchiati con innumerevoli altri disperati, avevano ascoltato un tot di messe, toccato una statua, pregato parecchio. Ovviamente, non era successo nulla di che. Nessuna luce accecante era scesa dall’alto, nè Tiziana aveva cominciato a muovere gambe e braccia o aveva proferito qualche suono. Secondo tutte le apparenze, un viaggio totalmente inutile. Peraltro, certe cose magari non sono come premere un interruttore. Era possibile che qualche misteriosa scintilla fosse davvero entrata nel corpo della piccola, e stesse lavorando in silenzio, sotto traccia, riparando ogni e qualsiasi danno. Fino a quando ci sarebbero state liete sorprese. Poteva darsi che anche lui e Lia avrebbero ricominciato a parlarsi. Tutto poteva essere.

L’Eredità

Troppo figo. Non posso descrivere in altro modo l’appartamento che mi ha lasciato mio zio. Insieme a altra roba, ovviamente, e a un sacco di quattrini se è per questo. L’appartamento però è di sicuro il giocattolino che riempie di più l’occhio. Tanto per cominciare è in una zona veramente vip, al centro del centro del centro. Uno entra lì, e si sente, come te lo devo dire, importante ecco.

Inutile dire che mi ci sono trasferito subito, senza farmi tanti pensieri, come forse invece avrei dovuto. D’altra parte, era stato un vero e proprio colpo di fortuna. Di lí a un paio di mesi mi sarebbe finito il sussidio di disoccupazione, e davvero non sapevo che avrei fatto dopo, visto che tutti tagliavano, riducevano, mandavano a casa, mettevano in cassa integrazione. Per me, comunque, il problema non c’era più. Avevo tanti di quei quattrini che per finirli ci sarebbero volute tipo una decina di vite, pure a uno come me che spendo un visibilio tra sigarette e videopoker.

Devo ammettere che non mi aspettavo tutto questo ben di dio. Intanto, con questo zio non è che avessi granché di relazione. Ci saremo visti sì e no una decina di volte, una cosa del tipo buongiorno-buonasera. Il notaio d’altronde m’aveva detto che di parenti non ne aveva più, il che spiegava un po’ tutto. Poi, non avrei mai pensato che fosse ricco sfondato a sta maniera. A vederlo non gli davi due spicci. Stava sempre trasandato, spettinato, insomma pareva un poveraccio esattamente come me. Sapevo pure che era un intellettuale, uno di questi mezzi matti che girano il mondo e poi scrivono un sacco. M’han detto che aveva pubblicato diversi libri, ma francamente non me ne sono interessato più di tanto, anche perchè dopo dieci minuti che leggo le notizie dello sport mi gira la testa.

Di certo, quando entravi nell’appartamento ti rendevi conto che avevi a che fare con un pozzo di scienza. C’erano libri dappertutto. Sugli scaffali, ovvio, ma anche sui tavoli, sulle sedie, per terra, pure sul davanzale della finestrella del bagno. Era di certo la prima cosa a cui pensare. Avrei rifatto i pavimenti, cambiato la mobilia. Insomma, tutta quella carta andava sbaraccata. A cominciare dal salone. Levando di mezzo un paio di scaffali mi ci sarebbe entrato paro paro un televisorone da cinquanta pollici.

Con mia grande sorpresa, non fu difficile trovare qualcuno che si prendesse la briga di portare via tutto quel ciarpame. Un tipo, conoscente di un mio conoscente, si dimostrò anzi entusiasta, e fece tutto a costo zero, in cambio del materiale. Un mio amico mi spiegò che probabilmente vendendo i libri anche ad un inezia l’uno ci avrebbe guadagnato abbondantemente. Buon per lui, a me bastava lo spazio sgombro.

Quella sera me ne andai a letto davvero soddisfatto. Mi feci una bella dormita sul lettone dello zio. Naturalmente avrei cambiato anche quello. Ce ne voleva assolutamente uno con il materasso ad acqua.

Però ammetto che mi ci trovai davvero bene. Magari ci potevo anche ripensare, e tenermelo. La mattina mi svegliai riposato come non mi capitava da tempo. Certo, pensai. Adesso, con il mucchio di quattrini che mi ritrovavo. di preoccupazioni ne avrei avute molte di meno. Stavo per alzarmi, ed iniziare una giornata perfetta, quando mi resi conto che sul cuscino accanto al mio c’era un libro. Tom Sawyer. Come diamine c’era arrivato? Ero straconvinto di averli buttati via tutti. Vabbè, si rimedia facilmente. Apposta c’era un cassonetto della carta giusto giusto davanti al portone.

Nel frattempo, prendeva forma il mio appartamento ideale. Avevo ingaggiato il meglio arredatore sulla piazza, ed è incredibile come tutti corrono quando sentono odore di soldi. La mattina seguente, dopo aver sognato tutta la notte come mi sarei goduto il mio piccolo castello una volta che fosse stato finito, appena sveglio mi resi conto che sul letto stavano due libri. Stavolta erano L’Idiota e Pinocchio. Che presero pure loro la via del cassonetto.

Nei giorni seguenti, le cose presero una piega che più che strana definirei inquietante. Ogni mattina trovavo dei libri sul letto. Furono quattro, poi otto, poi sedici. Insomma, ogni volta erano il doppio. Fosse stato solo quello. La loro destinazione rimaneva pur sempre la raccolta differenziata. Ma ogni volta era sempre più complicato. Non solo per la fatica fisica di portarli fin li’. E’ che mi cresceva dentro tipo una vocina. Mi diceva: guarda che stai facendo qualcosa di sbagliato. Arrivammo ad un punto che a forza di raddoppiare, i libri non stavano più sul letto, e debordarono fin sul pavimento. Nel contempo, mi trovai a considerare: dopotutto, che senso aveva buttarli via? In fondo potevano servire come oggetti di arredamento. C’è chi li mette finti, io li avevo veri. Così comprai uno scaffale, e ce li misi sopra.

L’altro giorno mi ha chiamato uno dei ragazzi del bar. Com’è che non t’abbiamo più visto? Aveva ragione. Doveva scusarmi, ma ero troppo impegnato. A giorni partivo per l’Egitto? Sharm-el Sheik? No no, Karnak. Del resto, qualche giorno prima stavo al cesso, quando di colpo mi resi conto che stavo leggendo *I Miserabili* invece di *Palloni in tribuna*. E il mattone mi piaceva pure. Senza contare che mi ero lasciato crescere la barba. E stava diventando bianca, proprio come quella dello zio.

Quaranta giorni nel deserto?

sunset-1075107_1920Spesso quello che riusciamo a realizzare è una questione di focus. Ora, il mondo intorno a noi, per ragioni che almeno per ora non ci interessano, tende a frammentare la nostra attenzione.

La televisione o la radio accesa ci mandano messaggi. Anche mentre navighiamo su Internet veniamo continuamente distratti da messaggi, notifiche e campanellini vari. Perfino quando camminiamo per strada insegne di negozi e cartelloni cercano in tutti i modi di attirare la nostra attenzione.  Ultimamente, perfino in stazione, negli aeroporti o sugli autobus siamo assediati da messaggi audio e video che ci distraggono.

Normale che finiamo per perdere di vista quello che veramente vogliamo.

Secondo quanto narra il Vangelo, Gesù a un certo punto della sua esistenza si ritirò per quaranta giorni nel deserto. Penso che non fosse per fare il figo. Evidentemente sentiva di dover trovare o ritrovare il suo focus. Quello che veramente voleva. Che nel suo caso era di portare un determinato messaggio.

Dovremmo fare come lui? C’è chi lo fa. Ci sono coach che organizzano ritiri in montagna che durano settimane, e dove vengono tacitati tutti gli stimoli esterni, per fare chiarezza nei pensieri dei partecipanti.

Del resto, Gesù anche nel deserto, sempre secondo il racconto del Vangelo, venne raggiunto dal diavolo (dalla perdita di focus) che cercò di tentarlo (distrarlo dalla sua missione).

E’ esattamente quello che ci succede nella vita di tutti i giorni, e che all’inizio succede anche ai partecipanti dei ritiri. Nei primi giorni di ritiro è facile avere delle vere e proprie crisi di astinenza dal flusso massivo  di informazioni a cui ormai siamo abituati.

D’altro canto, non tutti possiamo partecipare a ritiri che durano settimane. Quindi, conviene forse trovare sistemi più pratici per chi si trova a dover vivere nel mondo. Tipo imparare a filtrare le informazioni usando, molto banalmente, la consapevolezza.

Lettura consigliata: Eckhart Tolle,  Il potere di Adesso: Una guida all’illuminazione spirituale (Psicologia e crescita personale)

Perchè la motivazione a volte non funziona

ondeCi sono volte in cui capita di leggere un articolo o ascoltare un audio che di solito ci motiva a palla e di sentire una sensazione di vuoto. Come se non ci dicesse più nulla. Cosa diamine è successo? Dal momento che l’oratore è sempre lo stesso, e il suo messaggio anche, è evidente che qualcosa è diverso in noi, nella nostra percezione,  nella nostra risposta a quel messaggio.

Ovviamente, ascoltare l’audio o leggere il libro avrà comunque qualche effetto positivo su di noi.  Ma il processo motivazionale sarà molto, molto più lento. La buona notizia è che possiamo accelerare.

Come? Prima di leggere o ascoltare è opportuno “sintonizzarsi“, ovvero orientare il nostro pensiero verso qualcosa di motivante.  Insomma, spostare qualche interruttore nella nostra testa. Smettere di ricordare, di vivere insomma nel passato e cominciare a “pensare” sul serio, ovvero iniziare a visualizzare il nostro futuro come lo desideriamo.

Questo serve per cambiare in meglio il nostro stato di vibrazione. In questo modo veramente approfitteremo al massimo della formazione. perché saremo “in fase” con l’oratore o lo scrittore che sta comunicando con noi.

Network Marketing: noi siamo liberi, loro sono liberi

(Fonte  Immagine: https://www.flickr.com/photos/nicokaiser/6185983773)

aquilaNon abbiamo il potere di convincere nessuno. Questa, a mio parere, dovrebbe essere una delle prime convinzioni che dovrebbe sviluppare chi fa network marketing. Può sembrare una convinzione limitante, ma non lo è. Perché ci libera dall’obbligo di far entrare le persone quando facciamo loro il piano marketing.

Il network marketing, come del resto ogni attività commerciale (o umana) è un gioco di numeri. Più persone raggiungiamo, più è probabile che troveremo le nostre prime linee, e tra queste i nostri leader. La fregatura arriva quando pregiudichiamo. Ovvero, “decidiamo” che quella  specifica persona deve entrare in attività e deve diventare un leader.

L’abbiamo deciso noi. Ma cosa ne pensa quella persona? E se per caso non fosse d’accordo? Se magari fosse anche interessata, ma non fosse il suo momento?  Non trovate che sarebbe energia sprecata cercare di farla diventare un leader a forza? E d’altra parte, forse sarebbe bene impiegare quell’energia nel proporre la nostra opportunità ad altra persone?

In altre parole, trovo che il nostro tempo e la nostra energia siano troppo preziosi per usarle in qualcosa di improduttivo come cercare di convincere chi non è convinto. Naturalmente,  è u altro paio di maniche quando la persona ci fa domande, chiede aiuto, viene agli incontri eccetera. Ovvio che in questo caso bisogna essere disponibili.  Ma in caso contrario… Next. 

 

 

Com’è bella l’avventura…

Com’è bella l’avvventura/ Senza ieri né domani/ tutto il mondo tra le mani/ e la voglia di cantar…..  (Domenico Modugno)

Se ci sentiamo annoiati è probabilmente perché abbiamo perso il senso dell’avventura. Probabilmente abbiamo raggiunto, o pensiamo di aver raggiunto, una certa stabilità. Il che è ottima cosa.

Poi però abbiamo cominciato ad aver paura di perderla. E questa invece non è una buona idea. Perché invece di goderci quello che abbiamo raggiunto cominciamo ad andare in ansia per mantenerlo. Il risultato è che più otteniamo, più diventiamo ansiosi.

Il punto è che, che noi ci preoccupiamo o meno, le cose accadono. Ed anzi, se ci preoccupiamo molto, tenderanno ad accadere cose che interpreteremo come negative. Il gioco è abbastanza semplice. Io voglio un determinato risultato, e lo voglio in quel modo, e in nessun altro.

Voi capite bene che questa è l’esatta definizione dell’essere rigidi. Ora, quando il vento soffia forte, le canne rigide si spezzano. Perché se hai un solo modo di essere gioioso, sarà molto probabile che ti ritrovi triste.

Del resto, quando uno non ha più problemi si dice che è arrivatoArrivato dove? Arrivare vuol dire che il cammino è terminato. Si è instaurata una routine, un processo per il quale ogni giorno somiglia a quello precedente.

Tutto molto rassicurante, e forse anche piacevole per un po’. Poi però ci si rende conto che non stiamo più imparando che non ci sono più stimoli. E poiché l’essere umano è fatto per apprendere continuamente cose nuove, ecco che ci ritroviamo con quello strano senso di vuoto, che in ultima analisi ci segnala che abbiamo smesso di crescere.

Allora qual è il rimedio? Ritrovare il senso dell’avventura. Ovvero, ritrovare la consapevolezza che tutto cambia continuamente,  e che magari il bello della vita non è non avere problemi, ma diventare capaci di risolvere problemi sempre più complessi.

La traccia 2

tracceQuando lavoro, ma in definitiva anche quando vivo, raramente faccio una cosa sola.

Lo so bene che bisognerebbe essere focalizzati e bla bla bla. E in effetti, più siamo focalizzati meglio è. Siccome però la perfezione è un ideale a cui tendere ma raramente si raggiunge, capita spesso che qualcosa di urgente si frapponga, oppure che un lavoro non quagli.

Allora trovo utile passare momentaneamente a qualcos’altro. Capita spesso che “staccare” mi sblocchi il cervello, e magari vedo una soluzione anche ovvia ma che lì per lì mi era sfuggita perché ormai mi ero incaponito su qualcosa, diventando rigido e di conseguenza incapace di aprirmi a soluzioni creative.

Questo funziona anche, e soprattutto, quando ci troviamo in situazioni in cui  non sappiamo che pesci prendere. Sì, perché sono convinto che  vi dice che le persone motivate non si sentono mai smarrite menta sapendo di mentire. Ci sono situazioni in cui abbiamo la sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato.

In questo caso abbiamo due possibili scelte:  la prima è quella di crogiolarci nel dolore, perdendo così tempo ed energia. La seconda è quella di capire cos’è successo, trarne una lezione per il futuro e lasciar andare.

La seconda scelta non è immediata, è graduale, e comporta un certo impegno. Qui viene utile il concetto di cui abbiamo parlato finora. Ogni tanto capita che  proviamo dolore, ma possiamo imparare a metterlo sulla traccia 2, e quindi a proseguire con la nostra vita, esplorando altre possibilità.