Film, “The Hateful Eight” di Quentin Tarantino

A cura di Francesca Fiorentino

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Durante una funesta tempesta di neve, una diligenza con a bordo due cacciatori di taglia, una “preda” e il futuro sceriffo di Red Rock, approda all’emporio di Minnie, un luogo che ospita altri viandanti. In un clima irreale si consuma un “uno contro tutti” di portata colossale.

Sì, abbiamo atteso The Hateful Eight sin dai titoli di coda di Django Unchained e sì, dobbiamo ancora digerirlo. Succede sempre così con i film di Quentin Tarantino. Alla prima visione restiamo spiazzati, quasi sfibrati da tanta potenza. Poi, piano piano, le storie cominciano a farsi strada e ci ritroviamo a canticchiare il motivo principale della colonna sonora (in questo caso firmata da Ennio Morricone) o a ripensare a quel dettaglio che pareva inutile e invece si rivela essenziale alla comprensione del racconto.

Secondo “western” della gloriosa carriera di Tarantino, The Hateful Eight a detta di molti è l’opera più matura e risolta del regista. Di certo non possiede quell’allure citazionista e quello spirito “pop” a cui eravamo abituati, e per questo sembra austero, quasi noioso; ma l’opera è un ritratto nerissimo di un’America affatto pacificata, che proprio nel momento di massimo splendore del suo mito, alla fine della Guerra di Secessione, con la sconfitta dello schiavismo e l’inizio dell’era democratica di Abraham Lincoln, pianta le radici di una violenza senza fine e senza scopo.  La violenza non sembra nascere da una risposta a un’offesa, ma è logica conseguenza di una pace infranta, costruita su presupposti lacunosi.

Il film è girato magnificamente, con una maestria rara. Da vedere nonostante tutto.

Film “Steve Jobs”, di Danny Boyle

A cura della Redazione Spettacoli 
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Per tutti quelli che non lo sapessero, Aaron Sorkin è considerato uno degli scrittori e sceneggiatori più importanti al mondo. Autore di un cult della serialità televisiva, West Wing, Sorkin sa come pochi altri stordire lo spettatore con il profluvio di parole dei suoi personaggi, che affascinano o infastidiscono in egual misura, ma quasi mai lasciano indifferenti. Ecco perché l’idea che proprio lui potesse scrivere un film dedicato ad una delle figure più importanti e controverse degli ultimi anni, Steve Jobs, faceva già discutere prima che lo stesso film vedesse la luce.
L’opera, diretta da Danny Boyle e interpretata splendidamente da Michael Fassbender, è un magnifico esempio di biopic. Originale e non banale, quello di Boyle è un ritratto inedito del fondatore della Apple, immortalato in alcuni momenti chiave della sua vita professionale (sempre alla vigilia della presentazione di un nuovo progetto), che nulla ha a che vedere con la banalità dello stereotipo e che molto dice di un uomo maniacale, poco accondiscendente, geniale ma anaffettivo, circondato da pochi amici veri (la sua assistente, una straordinaria Kate Winslet) e da tanti “nemici”.
L’accoppiata Boyle-Sorkin (difficile scindere le due unità considerato che il film è essenzialmente strutturato su dialoghi massacranti) ci parla di Jobs come di un uomo disperatamente connesso alla vita grazie a pochi appigli, il più importante dei quali è quello della figlia, nata da una relazione giovanile e riconosciuta dopo molti anni. E’ questa figura pura a rappresentare l’ideale controcanto di un artista dal cuore di ghiaccio, sempre proteso al futuro ma essenzialmente incapace di relazionarsi con i suoi simili.
E questo filo rosso che lo lega alla figlia è anche l’elemento narrativo più solido del film che in certi punti tende a slegarsi e a perdere di vista il suo focus, ma che Boyle riesce egregiamente a condurre fino alla fine.

Film, “Creed – nato per combattere” di Ryan Coogler

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A cura della Redazione Spettacoli

“Creed” su Amazon.it

Ryan Coogler aveva già colpito la critica con il suo bel film d’esordio, Prossima fermata Fruitvale Station, ispirato ad un tragico fatto di cronaca. Aspettato al varco dai critici, si conferma come buon regista anche con l’opera seconda, Creed – Nato per combattere, spin off della celeberrima saga di Rocky. P

rotagonista è infatti Adonis Creed (Michael B. Jordan), figlio illegittimo di Apollo Creed e desideroso di seguire le orme paterne. Bambino problematico, cresciuto in orfanotrofio, Donnie viene adottato dalla vedova di Apollo e diventa ben presto un giovane destinato ad una grande carriera negli affari.

Adonis però è alla ricerca di una propria identità, qualcosa che solo la boxe può dargli. Lascia così un importante posto di lavoro e si mette sulle tracce dell’unico uomo che possa aiutarlo: Rocky Balboa. Piombato a Philadelphia, il ragazzo si rimbocca le maniche e si lancia in un serrato “corteggiamento” dell’ex campione di pugilato che, dapprima infastidito dalle richieste del giovane, decide di seguirlo e allenarlo. Insieme formeranno un duo capace di resistere ai colpi più duri. Compresa la malattia che giorno dopo giorno sfianca Rocky.

Impossibile rimanere fermi sulla poltroncina quando riecheggiano furbamente le note della colonna sonora di Rocky, nel bel mezzo del combattimento cruciale di Adonis e questo la dice tutta sul senso di un’operazione cinematografica intrisa di nostalgia e di sincera ammirazione per un eroe di celluloide come Rocky.

E’ la forza di questo film e paradossalmente ne è anche il limite, perché la presenza di un personaggio carismatico come quello interpretato da Sylvester Stallone (destinato all’Oscar dopo aver vinto il Golden Globe) diventa il catalizzatore unico di una storia che in realtà avrebbe dovuto poggiare su un’altra figura, quella di Adonis.

Qualche sbavatura nella sceneggiatura, troppo scontata in certi passaggi, se non addirittura fotocopiata dal primo Rocky, appesantiscono la visione che tuttavia è ampiamente ripagata dalla bellezza delle riprese nelle sequenze di combattimento, molto crude ed efficaci. Da vedere.

Film, “Carol” di Todd Haynes

A cura della Redazione Spettacoli 
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New York, anni 50. Carol è una ricca signora dell’altissima borghesia ormai stanca di una vita oppressiva. Quando incontra la giovane commessa Therese, in realtà fotografa provetta, non immagina che tutto il suo perfetto universo di signora impeccabile stia per collassare. Un tocco fugace, un dialogo inaspettato e per le due donne inizia una storia d’amore appassionante e travolgente che le porrà di fronte a scelte difficilissimi da compiere. L’ex marito di Carol, infatti, disgustato dalle scelte della moglie, che già prima di allora lo aveva tradito con un’altra donna, le sottrae l’amata figlioletta.
Di fronte al film di Todd Haynes, Carol, si resta ammaliati dalla ricchezza di dettagli della messa in scena, dalla morbidezza della fotografia di Edward Lachman e dall’eleganza dei costumi di Sandy Powell. Eppure il nucleo emotivo della storia, quello di un sentimento fortissimo che lega due persone considerate come colpevoli dalla società americana dell’epoca, resta quasi congelato in questa costruzione formale di grande bellezza. Non è un difetto, ma una caratteristica sorprendente di questo mélo che non riesce ad esplodere neanche nell’unica scena d’amore tra le due bravissime protagoniste, Cate Blanchett e Rooney Mara, forse la migliore del duetto.
Dicevamo caratteristica sorprendente, peculiare, del film (tratto dal romanzo di Patricia Highsmith The price of salt, disponibile su amazon.ithttp://www.amazon.it/Carol-LIBRI-DI-PATRICIA-HIGHSMITH-ebook/dp/B008RB28TA/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1452671143&sr=1-1&keywords=the+price+of+salt), che però proprio per questa sua anima algida non riesce a sconvolgerci nel profondo. Resta tuttavia la maestria registica di Haynes capace di trasformare il suo sguardo in una penna stilografica che cattura e traduce il dramma con grande efficacia.

Film, “Quo Vado” di Gennaro Nunziante con Checco Zalone

A cura della Redazione Spettacoli 

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In Italia il pubblico si divide in due categorie: quelli che hanno visto il nuovo film di Checco Zalone, Quo vado?, e quelli che ancora non lo hanno fatto. In sostanza è impossibile ignorare un fenomeno di queste proporzioni, destinato a stracciare ogni record di incassi del nostro paese.

Un primato che è stato accolto da numerose polemiche, legate all’invasione delle sale (una diatriba puramente commerciale, quindi) e alla bassa qualità del prodotto, con conseguente riflessione sulla crisi della nostro cinema, capace di raggiungere numeri ragguardevoli solo con proposte mediocri (e il discorso si fa quindi squisitamente etico ed estetico).

Chi vi scrive pensa che spiegare il successo di Zalone come trionfo della bruttezza tout court, accusando il pubblico di essere “basso e crasso” è una sconfitta in partenza. Gli spettatori mostrano il loro affetto ad una figura comica che hanno imparato ad apprezzare nel tempo e che non li deluderà, in termini di risate e situazioni paradossali. Sanno cosa aspettarsi da un film del genere e puntualmente vengono soddisfatti.

E’ un punto a favore di Zalone, a cui non si può certo rimproverare mancanza di furbizia. In questo caso, poi, le speranze sono riposte con maggiore efficacia, visto che la storia ha una marcia in più rispetto alle precedenti pellicole. Il protagonista, Checco, è un innamorato del posto fisso che a causa di una riforma governativa sarebbe costretto a lasciare. Riuscirà con faccia tosta, fortuna e oltraggiosa tenacia a mantenerlo. Salvo poi riflettere sul senso della vita a causa di una donna.

Non è un capolavoro, sia chiaro, ma in certi momenti Zalone (Luca Medici) riesce ad essere divertente e a operare una blandissima critica ad una generazione, ormai scomparsa, di privilegiati. 

Film, “Star Wars – Il risveglio della forza”

A cura della Redazione Spettacoli

Il-Risveglio-della-Forza-copertinaStar Wars su Amazon.it

Sì, l’uscita del settimo capitolo della saga di Star Wars,  Il risveglio della Forza è un evento epocale e non solo per la quantità di soldi incassati dal film diretto da J.J. Abrams, ma perché esso ci permette di rileggere sotto una nuova luce la storia raccontata fino ad oggi e di ritrovare quei vecchi, amati, personaggi che tutti i fan hanno adorato.

Quest’opera è naturalmente il prodotto di una filosofia commerciale molto spiccata e sarebbe impossibile affermare il contrario, ma quello che ci ha colpito positivamente è il tono a tratti elegiaco, genuinamente adorante che Abrams ha utilizzato per narrare dei suoi eroi. E’ un film, insomma, girato da uno starwarsiano doc, per tutti coloro che non sono mai entrati appieno nell’universo di Star Wars; ed è forse meno diretto ai severissimi esegeti della saga di Lucas che, sull’onda delle perplessità di patron George, ne hanno già decretato il fallimento.

Più reboot che sequel vero e proprio (in sostanza è una “rilettura” riveduta e corretta di Episodio IV), Il risveglio della Forza propone un villain nuovo di zecca, Kylo Ren, un malvagio in maschera che tanto ricorda Darth Vader e un’eroina che ci ha conquistato per il suo coraggio, Rey, una giovane donna da cui dipenderà il destino dell’Universo, sempre in bilico tra Luce e Oscurità. Al suo fianco ci saranno anche il Generale Leia Organa e il leggendario Han Solo, accompagnato dal prode Chewbacca, legati a doppio filo a quella ragazza battagliera e senza paura.

Girato magnificamente, con sequenze di combattimento e battaglie aeree emozionanti, Episodio VII è un’opera godibile e divertente, che piacerà senza riserve a chi nel buio di una sala cinematografica sogna ancora senza smettere mai. Da vedere.

Film: “Storia di una ladra di libri”, di Brian Percival

 A cura della Redazione Spettacoli 

Raccontare il dramma dell’Olocausto attraverso l’esperienza di una bambina speciale, una ragazzina che conosce il potere salvifico e la bellezza dei libri e lo “utilizza” quasi fosse una fata buona per prendersi cura delle persone a cui vuole bene. Liesel è la protagonista di Storia di una ladra di libri, film di Brian Percival tratto dal romanzo di Markus Zusak, La bambina che salvava i libri.

Malgrado la sua giovane età la bambina ha già sofferto per la separazione dalla madre, deportata perché comunista, e per la morte del fratellino. Arrivata a Berlino per essere adottata da Hans e Rosa Hubermann, Liesel vive quella situazione drammatica con il candore di una bambina, grazie all’amicizia di Rudi.
Un giorno nella sua nuova casa arriva Max, un ebreo fuggito dai rastrellamenti nazisti. Hans e Rosa, per debito di riconoscenza verso il padre del ragazzo, lo accolgono nella propria dimora. Costretto a nascondersi e debilitato da una malattia, Max diventa il nuovo amico di Liesel che gli legge storie dai libri sottratti alla biblioteca del borgomastro.
Opera gradevole e commovente, quello diretto da Percival è un film che pur senza guizzi stilistici riesce a commuovere profondamente e ci permette di inquadrare la Seconda Guerra Mondiale in un contesto più ampio, mostrandocela attraverso lo sguardo innocente di una bambina (la brava Sophie Nélisse) che difende la propria innocenza dalla violenza degli adulti.

Film: “Tutto può cambiare”, di John Carney

A cura della Redazione Spettacoli
Lui è un produttore musicale di talento ma disilluso e in crisi dopo il divorzio dalla moglie. Lei è una cantante che ha molto da dire, in crisi dopo la separazione dal fidanzato, egocentrica popstar di successo (Adam Levine dei Maroon5). Si incontrano a New York e le loro vite vengono stravolte dalla vicinanza reciproca. Greta aiuterà Dan a risalire la china, Dan permetterà a Greta di diventare un’artista di successo. Forse è amore quello che li lega, anche se non se lo diranno mai.
Per chi ama le commedie romantiche ma non banali, Tutto può cambiare di John Carney rappresenta un passaggio quasi obbligato. Il regista di Once, piccolo capolavoro musical-sentimentale ambientato a Dublino, ci racconta con grazia e leggerezza la storia di due personaggi che si amano profondamente senza esplicitare il sentimento che li unisce. Niente baci al chiaro di luna o dichiarazioni roboanti, Carney preferisce i toni sommessi e una narrazione che seppur non straordinariamente originale riesce a descrivere la trasformazione dei due protagonisti, un uomo e una donna che hanno solo bisogno di una reale presenza affettiva per superare una crisi profonda.
Mark Ruffalo e Keira Knightley sono perfetti nei rispettivi ruoli, ma è l’attrice inglese a sorprenderci di più cantando tutti i pezzi della colonna sonora con partecipazione e bravura. E poi c’è New York, parte essenziale del racconto e ispiratrice segreta di ogni artista. Un film non perfetto ma che si lascia vedere fino in fondo e riesce a darci una sensazione di buonumore e dolcezza.