L’umanesimo ai tempi dell’emergenza

L’emergenza sanitaria, un po’ come tutte le emergenze, sembra mettere in secondo piano cosucce secondarie come per esempio l’attività intellettuale. Cosa volete, la scala dei bisogni di Maslow è piuttosto perentoria. Prima di tutto la sopravvivenza, poi si può (eventualmente) pensare al superfluo, come appunto l’arte la scienza e la filosofia.

Il punto è che spesso e volentieri sono proprio queste attività “futili” a consentire di trovare soluzioni vitali anche alle emergenze. Sì, perché si da il caso che noi esseri umani sotto pressione possiamo forse anche rendere bene, ma se la pressione diventa panico tendiamo a funzionare male, anzi malissimo. E a prendere decisioni che si rivelano spesso sballate rispetto alla situazione che stiamo affrontando.

E’ una pura e semplice questione di analisi dei dati a disposizione. Sappiamo bene che non percepiamo direttamente la realtà, ma la interpretiamo. Quindi, la nostra “verità” non è altro che un’opinione. Se, in una situazione “negativa” (cioè, che non ci piace) ci convinciamo di non poter trovare una via d’uscita, è molto probabile che non la troveremo, almeno finché non decideremo di impegnarci a cercarla.

L’unico modo per iniziare a cercarla è decidere di allargare la nostra mente, di avere più frecce al nostro arco. L’umanesimo, cioè coltivare l’arte la filosofia e la scienza, ci aiuta precisamente in questo. Ci abitua a riflettere su quello che ci circonda, dandoci nuovi strumenti per comprenderlo e, se vogliamo, per governarlo. Cioè, di utilizzare la distanza tra stimolo e risposta per scegliere quale risposta dare alla situazione in cui ci troviamo.

Il posto giusto dove mettere i guai

Spesso succede che ci si accatastino addosso quantità industriali di guai, piccoli e grandi,  di opinioni e convinzioni depotenzianti che sommandosi possono arrivare a farci sentire un tantinello disorientati. Altrettanto spesso si pensa,  chissà perché, che le tecniche di motivazione e crescita personale debbano per forza essere complicate. 

La mia esperienza mi suggerisce invece che le cose semplici sono le migliori. Anche perché gli obiettivi migliori sono quelli che ci impegnano un po’, ma non troppo. In questa occasione, ho il piacere di condividere con voi una piccola metafora che personalmente sto trovando molto utile, e spero che lo sia anche per voi. 

Immaginiamo quindi di creare una sorta di contenitore al disopra della nostra testa,  tipo a un metro o due di distanza. La cosa importante è che lo percepiamo al di fuori  della nostra vita. Fatto? Bene. Ora, prendiamo tutta la matassa dei nostri guai e…spostiamoli lì dentro.

Semplice? Decisamente. Banale? Certo. Eppure, vi posso garantire che, almeno per quanto mi riguarda, l’effetto è notevole. Il fatto stesso di spostare i guai fuori dalla nostra consapevolezza agisce come una specie di balsamo, che libera le nostre energie consentendoci di vedere il tutto da una prospettiva diversa, portandoci in un certo qual modo all’esterno delle nostre beghe quotidiane.

Si diventa ricchi investendo

Anche il post di oggi prende spunto dal video di Mario Robecchi dedicato alla relazione tra Ricchezza e spiritualità. Nel post precedente, pubblicato qualche giorno fa, ho sottolineato come la ricchezza consista in effetti nel saper governare le risorse. Cioè: non conta quello che abbiamo, ma come lo gestiamo. Chi ha molti soldi o molte proprietà, ma non sa gestirle, non è ricco, o comunque non lo resterà a lungo. L’esempio classico è quello di chi vince una somma ingente alla lotteria: in molti casi finisce non solo per sperperare quello che ha vinto, ma anche per ritrovarsi pieno di debiti,

Si diventa ricchi investendo, non trattenendo. E’ anche vero che nemmeno essere avari paga. Semplicemente ammucchiare il cosiddetto fieno in cascina non ci porta da nessuna parte. Occorre anche qui prendersi la respons-abilità di capire come funzionano gli investimenti, e soprattutto capire quali sono gli investimenti che funzionano meglio per noi.

È bene notare che qui non c’è consulente che tenga. Le mani in pasta dobbiamo mettercele noi. Cominciamo a studiare quali sono gli strumenti di investimento, come funzionano, e naturalmente quali sono quelli più adatti per noi. Prima di mettere denaro vero, facciamo delle simulazioni, sia con penna e calcolatrice che, se mastichiamo un po’ di informatica, con un foglio di calcolo. Alcuni siti di investimento permettono di aprire un conto dimostrativo: approfittiamone. Proprio così: facciamo finta di investire, un po’ come se fossimo dei bambini che giocano a fare i castelli di sabbia.

Naturalmente, ci capiterà di sbagliare. E’ normale. Di solito abbiamo un vero orrore… per l’errore. Tuttavia, imparare dagli errori fa parte della vita, che, non fa male ricordarlo, è sempre più o meno rischiosa. La contropartita del prendersi dei rischi è che si imparano sempre cose molto interessanti. Soprattutto quando si “sbaglia” o si “perde”. Cioè, gli eventi seguono un corso che non rispecchia le nostre aspettative.

Poesie ritrovate…

Scartabellando nel mio Dropbox ho ritrovato queste poesie. Ve le offro sperando che vi garbino…

Estate
Siedo sul mio terrazzo vistamare
l’aranciata al posto del mojito
e mi sommergono i ricordi
di stagioni simili a questa
riecheggiano lontani tamburi elettronici
soavi turbini di lucette colorate palpitanti
“Nikita” di Elton John
ormoni secreti in quantità industriale.
La brezza della sera scompiglia i miei quattro capelli bianchi.

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Ironia
Non otterrai nulla di quello che cerchi:
nonostante questa certezza
continui a spiare ogni granello di speranza
e lo acciuffi, tenendolo più stretto che ti riesce
testardo che non sei altro.

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Si intravvede
La fonte a cui mi abbevero
ha ben poco di terrestre.
Una bottiglia d’acqua fresca appare
materializzandosi dal nulla,
rovescia parte del suo contenuto
spegnendo l’infiammazione della mia cotenna.
E si intravvede il sentiero,
comprensivo di promettente svolta

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Spettro
Attraverso i colori ti posso identificare
Indaco lo sporco di dubbia origine
sullo stipite della tua porta
Blu le strisce del parcheggio a pagamento
lungo il marciapiede di fronte
Violetto il volantino accartocciato
sul punto di cadere in una bocchetta delle fogne
Giallo il muro su cui qualcuno ha scritto a lettere cubitali
“VAFFANCULO”
Rosso lo sfogo della sua rabbia, nebbia indistinta.
Verde la manica del tuo cappotto visto da dietro
Arancio le tue palpebre semichiuse volte da sempre altrove,
per sempre

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So-lin-go
L’albero a cui tendevi
la mano piccoletta –
un pino già mezzo rinsecchito
che non dava più ombra –
l’hanno tagliato ieri
due operai del comune
e presto dove stanno i giardinetti
ci sarà un parcheggio da ottanta piazzole.
Del resto, era dura trovare posto…
Mi resta solo la speranza
che si trovi per te un bravo dottore
e quindi un altro albero
a cui farti tendere la mano, piccoletta

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Alice
Quell’albero di Natale (benedetto!)
le sue piccole luci colorate…
L’ombra però del piccolo assentatosi
impedì volerti avere veramente
Amico sincero
Risata sonora
Come il coniglio poi scappavo via

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Bruce
Nei vicoli nascosti
si diffonde il suono
la mai dimenticata melodia
dell’uomo.
Così vicina alle idee
così lontana dal mondo
Sospesa a metà nello spazio.

È ricco chi sa governare

Ormai da diverso tempo seguo il life coach Mario Robecchi, finissimo espositore di concetti spirituali che però, come spesso càpita, finiscono per essere anche molto pratici, perchè forniscono validi spunti sui valori da adottare, valori che ci aiutano a focalizzare le nostre energie e quindi a “fare le cose giuste” nella vita quotidiana. In particolare, in un video intitolato “Ricchezza e spiritualità“, Robecchi fornisce diversi spunti, che mi prendo la briga di commmentare un po’.

E’ ricco chi sa governare. Si intende: governare le risorse a nostra disposizione. Comprese, anzi soprattutto, le risorse mentali e spirituali. Le risorse fisiche, infatti, possono essere gestite e disposte in molti modi diversi, potenzialmente infiniti. Come vengono disposte, dipende da noi. Quindi, a nostra volta, da come disponiamo appunto le nostre risorse mentali e spirituali. Ne deriva che, a seconda di quali sono i nostri valori e le nostre convinzioni, cambiano i nostri stati d’animo e i nostri pensieri, e di conseguenza i nostri risultati. Mettendola terra terra: non conta quanti “soldi” hai, ma come usi le risorse. Non è questione di denaro, ma questione di obiettivi.

La ricchezza è un livello di abilità. Come ripeto spesso, occorre essere respons-abili, cioè, capaci di rispondere. Uno degli scopi della vita, probabilmente il più importante, è avere sempre più frecce al nostro arco. Se sappiamo come affrontare efficacemente le situazioni che ci si presentano, queste ci spaventano meno, e di conseguenza consumano meno energie, energie che possiamo dedicare ad obiettivi vitali.

La causa della ricchezza è la cooperazione. La causa della povertà è l’isolamento. Robecchi a un certo punto del suo video cita un testo, come dice lui stesso, vecchio ormai di trecento anni. Si tratta de La ricchezza delle nazioni di Adam Smith. In particolare, cita l’esempio dello spillo, oggetto all’apparenza banale che però è il risultato di un notevole livello di cooperazione. Se infatti pensiamo per un momento di produrre uno spillo da soli, senza macchinari, ecco che ci si rivela tutta la complessità del processo di produzione. Così come anche comprendiamo il valore della cooperazione.

Lo spillo è frutto di un processo durante il quale intervengono numerosi soggetti. In questo modo è possibile produrre molti più spilli, e ridurre il prezzo di ciascuno spillo. Tutto questi è ovviamente possibile solo in presenza di cooperazione. Se invece gli esseri umani si isolano, si va verso la povertà.

Una domanda potentissima: Cosa posso fare?

Secondo gli esperti, la nostra mente e il nostro cervello sono delle vere e proprie macchine per rispondere a delle domande. Ne deriva che, a seconda delle domande che ci facciamo, la nostra mente si focalizza su aspetti diversi della realtà.

Naturalmente, ci sono domande e domande: per esempio, cominciamo a chiederci in tono lamentoso: ma perché, perché capitano tutte a me? E’ evidente che come domanda non è molto potenziante. Il nostro cervello, prontamente, risponderà: succedono tutte a te perché sei uno sfigato. Converrete con me che in questo modo non si va da nessuna parte. O, per essere più precisi, si va generalmente dalla parte sbagliata, non vitale. Si tratta di domande che tendono a portarci ancora di più dentro la nebbia dell’incertezza, dell’imprecisione e soprattutto dell’impotenza.

Ci sono invece domande vitali, che ci aiutano ad ottenere risultati. E mio modesto avviso sono quelle che ci dovremmo fare più spesso. Sono le domande che ci fanno uscire dalla confusione, che precisano il più possibile gli aspetti della realtà che ci troviamo davanti. In generale, questo tipo di domande tendono a smontare gli aspetti della realtà che percepiamo come critici, a suddividerli in aspetti sempre più piccoli che possiamo gestire meglio.

Una delle mie domande preferite, quella che mi porta più risultati, è “Cosa posso fare?” A mio avviso, si tratta di una domanda potentissima, che ci porta a focalizzarci sulle soluzioni anziché sui problemi. Al suo interno troviamo infatti sia il verbo potere che un altro verbo molto interessante: fare. Prima di tutto, quindi, ci si focalizza sulla possibilità.

Per ogni questione infatti non c’è un’unica soluzione. In genere ce ne sono moltissime, potenzialmente infinite. Il verbo potere ha come principale effetto quello di allargare la nostra mente. Infatti, quando riteniamo di non avere soluzioni al nostro problema, principalmente accade perché la nostra mente si è ristretta, e si focalizza su un insieme ridotto di possibili soluzioni, quelle che non funzionano.

Usando il verbo potere, invece, usciamo dalla scatola e cominciamo a vedere soluzioni alternative, sempre più soluzioni alternative, fino a trovare quelle che funzionano, o comunque funzionano meglio di quelle di prima.

Quanto al verbo fare, ci porta dal mondo mentale a quello fisico. Attenzione, però. Non sempre il fare è fisico. Non sempre si tratta di manipolare oggetti. Anzi, molto spesso il fare si riferisce al cambiare qualcosa dentro di noi, piuttosto che fuori.

Infatti, quando troviamo una soluzione che possiamo definire creativa, la realtà “là fuori” è rimasta esattamente quello che era. Quello che cambia è la nostra percezione della realtà. Si tratta comunque di un’azione, sia pure a livello di pensiero, che certamente porterà a delle azioni fisiche, questa volta però molto più funzionali.

Una piccola nota a margine. Personalmente, trovo che anche questa domanda, pur potentissima, vada pronunciata o comunque pensata con il tono giusto. Vale a dire, un tono di certezza e, se vogliamo, se siamo credenti, di fede.

Se non lo siamo, possiamo comunque avere fede nel fatto che l’Universo è molto, molto grande, e che da qualche parte si trova sicuramente la risposta giusta alla nostra domanda. Trovare questa risposta è semplicemente questione di fede e di tempo. Con la fede che riduce il tempo necessario.