Pubblicità progresso…

Sono rimasto davvero colpito dallo spot pubblicitario dedicato alle Biblioteche d’Italia che potete rivedere a questo link. Tanto per cominciare, è uno spot totalmente privo di audio. Come si addice del resto all’ambiente delle biblioteche, ma è anche un fatto che, in un mondo rumoroso come quello della pubblicità, paradossalmente attira l’attenzione dello spettatore, non fosse altro che per verificare se non ci sia qualche guasto.

Anche la sceneggiatura poi è molto intrigante. Alcune signore entrano in biblioteca, scelgono un volume e – zac!- il loro abbigliamento si trasforma, diventando a tema con il libro che stanno leggendo. Il messaggio è: in biblioteca si può entrare in mondi diversi dal nostro, conoscere cose che non sapevamo e diventarne protagonisti.

Insomma, anche il leggere in biblioteca diventa un prodotto appetibile e attrattivo. Complimenti vivissimi a tutto lo staff che ha concepito questa che finalmente davvero possiamo chiamare Pubblicità Progresso.

Tornare ai dati

Un modo rapido ed efficace per ripulire la nostra mente è tornare ai dati, intendendo i dati oggettivi, quelli che ci troviamo immediatamente davanti, senza andare troppo lontano con giudizi e conclusioni, specialmente se affrettate.

Sembrerebbe un’idea molto semplice – e lo è – ma come molte idee semplici a volte è anche dannatamente difficile da mettere in pratica, perché siamo abituati a pensare che i problemi sono complessi.

Pensare che i problemi sono complessi in qualche modo ci de-respons-abilizza, ci fa pensare che non possiamo farci nulla, a parte divertirci un po’ per non pensarci troppo su.

Il punto è che non è vero. Ogni problema cosiddetto complesso è sempre suscettibile di essere suddiviso in elementi più semplici, sempre più semplici, finché non ne troviamo almeno uno sui cui possiamo agire adesso o comunque in tempi abbastanza ragionevoli da consentire un’azione.

In questo modo, tanto per cominciare, ci togliamo un bel po’ di scuse. Poi, magari, potremo anche decidere di non fare nulla, ma in questo caso non potremo lamentarci se la situazione in cui ci troviamo non ci piace.

Una volta che abbiamo trovato l’elemento semplice su cui lavorare, le energie si focalizzano, entriamo in uno stato di flusso, e abbiamo l’impressione che la vita sia semplice e meravigliosa. Il che è quanto di più vicino allo stato divino che possiamo raggiungere umanamente.

Cosa desiderare?

La citazione che precede è tratta da un volumetto che si intitola Yoga collettivo, un’antologia di scritti di Sri Aurobindo e Mère, ovvero Mirra Alfassa. Al di là della grandezza di questi due personaggi, possiamo tranquillamente considerare la frase anche senza sapere chi l’ha scritta. Personalmente, l’ho trovata molto, molto stimolante. E adesso mi permetto anche di spiegarvi perché.

E’ normalissimo per noi umani desiderare, ovvero tendere ad ottenere qualcosa. Se non avessimo avuto dentro questa spinta, probabilmente non saremmo neanche qui a parlarne, perché non ci saremmo neppure evoluti come specie. Detto questo, il desiderio, se supera certi limiti, può purtroppo portare all’infelicità e anche alla disperazione.

Questo si verifica nel momento in cui, per quanto ci mettiamo sforzo ed impegno, il nostro desiderio non si realizza. O, per essere più precisi, non si realizza nei tempi che noi ci aspettiamo. Già, perché in genere un desiderio è sempre destinato a realizzarsi. Può darsi però che i tempi per la sua realizzazione siano più lunghi di quelli che vorremmo.

Ecco allora che il nostro bambino interiore comincia ad agitarsi. Lui non ha pazienza, vede un giocattolo nella vetrina e lo vuole, subito. Il che non è negativo. Volere qualcosa è sano, è umano. Solo che, appunto, a volte non è possibile averlo subito.

I motivi possono essere molti, ma in generale si può dire che quando i nostri desideri non si realizzano subito – del tipo, voglio un panino, vado al bar e me lo compro – è perché dobbiamo imparare qualcosa. Se prima, e finché non, impariamo questo qualcosa, il desiderio non si realizzerà.

Davanti a questo fatto possiamo avere due reazioni diverse. Quella, appunto, del bambino, che comincia a frignare, petulante, finché magari il genitore, giusto per non impazzire, se appena può lo accontenta. Il che, tra parentesi, non sempre funziona. Oppure…

Oppure, possiamo imparare a desiderare in modo più funzionale. Prendere coscienza del fatto che, se il nostro desiderio non si sta realizzando nei tempi auspicati, è perché dobbiamo imparare qualcosa. Ecco che allora viene utilissima la citazione di cui sopra. Quando ci sentiamo smarriti perché sentiamo che la realizzazione dei nostri desideri sta tardando, possiamo desiderare Purezza, forza, luce, vastità e calma.

Tutto questo, in definitiva, altro non significa che desiderare di ampliare la nostra visuale, che probabilmente, se ci sentiamo ingabbiati e smarriti, si è ristretta un tantino. Desiderando la vastità, che è sempre disponibile, possiamo rimettere in prospettiva i diversi aspetti della nostra vita, e probabilmente capire qual è la prossima cosa da imparare.

Già, perché alla fine siamo qui per questo: per apprendere.

Fallo gratis!

Ritengo che le aspettative siano una delle più grandi disgrazie dell’umanità. Una volta che ci siamo creati delle aspettative su qualsiasi cosa, infatti, tendiamo a diventare molto inflessibili in merito. Il che, in un universo che invece si evolve continuamente, e che quindi ci richiede un massimo grado di flessibilità, può provocare una certa tensione.

Qualcuno potrà ribattere: ma allora non dobbiamo aspettarci nulla? Ma se non ci aspettiamo nulla, vale ancora la pena di fare qualcosa? La mia personalissima esperienza al riguardo dice che sì, dobbiamo avere delle aspirazioni, ma è utile essere flessibili sul percorso per raggiungerle.

Supponiamo che dobbiate andare da Roma a Milano. Partite dalla Capitale, e tutto va bene finché, arrivati, poniamo, a Firenze, vi trovate davanti una deviazione. I modi di reagire a questa eventualità sono essenzialmente due. (1) quello dell’essere umano medio, che perde un tot di tempo a sacramentare. (2) quella del navigatore, che molto semplicemente… ricalcola il percorso.

Lo stesso accade quando le nostre aspettative vengono deluse. O meglio, succedono cose che non ci aspettavamo. Vale in questo senso il discorso di cui sopra. Occorre liberarsi dalle aspettative e dall’eccessivo attaccamento, e valutare se quello che facciamo è in linea con i nostri valori. Dopodiché, facciamo e basta, giusto per l’esperienza, evitando di pensare a quello che vorremmo avere in cambio.

La ruota del criceto non esiste

Torniamo ancora una volta sul concetto di respons-abilità. Lo so che rischio di essere noioso e fastidiosetto, ma alla fine lo sviluppo personale spesso passa per momenti non piacevolissimi. Qualcuno ha detto che, più che delle pillole, servirebbero delle supposte o anche dei clisteri di motivazione. A volte bisogna semplicemente dare uno scrollone.

Dunque: la ruota del criceto esiste oppure no? Ovvero: realmente esiste un meccanismo che ci imprigiona, portandoci a fare sempre le stesse cose, con l’impressione un po’ di vivere sempre lo stesso giorno, e per giunta un giorno che non ci piace più di tanto, ma che pensiamo di dover rivivere, in buona sostanza, perché sì, senza una motivazione valida?

La risposta è abbastanza semplice, una volta accettato il concetto che per crescere, per avere una vita etica, cioè vitale e soddisfacente, dobbiamo diventare protagonisti, responsabili di quello che pensiamo, diciamo e facciamo, uscendo in ogni caso dal ruolo di vittima che, a questo punto è evidente, ci siamo imposti da soli.

Insomma, la ruota del criceto è, come del resto ogni cosa nella nostra vita, semplicemente un’opinione, un’idea che ci siamo fatti. Come tutte le opinioni, può essere analizzata ragionandoci su, iniziando da quella che da un po’ di tempo vado chiamando Revisione della Routine. Ovvero, cominciare a porsi le due domande fondamentali: che cosa sto facendo e (soprattutto) perché lo sto facendo.

La Revisione della routine, così strutturata, può essere iniziata in qualsiasi momento, senza mettere a repentaglio alcun aspetto delle nostra esistenza attuale. Lo dico, perché molti rinunciano allo sviluppo personale in quanto nonostante tutto sono affezionati alla loro ruota del criceto. Meglio il diavolo che conosco, si dice.

Ma si può iniziare esattamente da dove ci si trova, ponendosi le due domande fondamentali su aspetti minimi della propria vita quotidiana, del tipo: perché uso questa schiuma da barba? Perché faccio questo percorso per andare al lavoro? e via discorrendo, anzi via domandando.

Questa pratica semplice, a prima vista del tutto innocua, instillerà in voi un atteggiamento che invece può rivelarsi dinamitardo: la consapevolezza. Un po’ alla volta, i vostri pensieri e soprattutto le vostre azioni saranno guidati dalla vostra coscienza piuttosto che dagli automatismi che in genere finiscono per avvolgerci.

Intendiamoci: potreste anche scoprire che la vostra vita quotidiana, così com’è, vi piace assai. Ma in questo caso, non si tratterà più di Ruota del Criceto. ma di una consapevole scelta che rende soddisfacente e vitale la vostra esistenza. Un risultato comunque non da poco. Se invece arriverete alla conclusione che c’è qualcosa da rivedere, lo farete con serenità e gioia, senza necessariamente dover sparire dopo essere usciti a comprare le sigarette.

Spostare le macerie

Succede a volte che nella nostra testa ci sia qualcosa che somiglia da vicino a un cumulo di macerie, magari fumanti. Sono quei momenti n cui siamo stanchi, disorientati, e ci sembra magari che i problemi si addensino su di noi quasi fossimo una calamita o un parafulmine. In queste situazioni diventa complicato, a volte apparentemente impossibile, fare quello che andrebbe fatto, cioè mettere in fila i problemi (che poi sono sfida) in modo da affrontarli con ordine.

Visto che vi ho messo in testa la metafora delle macerie, usiamola anche per fare un po’ di pars construens. E la locuzione non è certamente usata a caso, anzi cade proprio a fagiolo. Ammesso che sia accaduta una disgrazia di qualsiasi tipo che ci fa ritrovare con delle macerie, qual è la prima cosa a cui dovremmo pensare? Esatto: la ricostruzione.

Naturalmente, non è facile come dirlo. Del resto, non lo è mai quando si ricostruisce. Però, si verifica un fenomeno assai interessante. Immaginiamo il cumulo di macerie, e poi domandiamoci: come potrei iniziare a ricostruire? La risposta è abbastanza semplice: occorre scegliere un punto, e cominciare a spostare un po’ di macerie, per liberare il terreno.

Una volta spostato il primo sasso, tutto appare più semplice. Il perché è altrettanto lineare: siamo passati all’azione. Ci siamo tolti dal pantano del disorientamento, e abbiamo fatto il primo passo su un nuovo percorso, basato sull’essere protagonisti anziché vittime.

Saggi subito

Mi ha entusiasmato la possibilità di diventare saggio subito. Di solito, chissà perché, si pensa che ci voglia un tempo lunghissimo, e per chi ci crede un numero x di reincarnazioni. Invece, ecco un metodo che istantaneamente o quasi ci mette in carreggiata, dritti verso la conquista quantomeno di un nuovo livello di consapevolezza. Per questo metodo devo ringraziare Mario Robecchi, di cui sto leggendo in questo periodo Osserva, capisci, agisci.

Si tratta di una scoperta interessante assai, un vero e proprio acceleratore. Si pensa in genere che diventare saggi richieda decenni di impegno. Tanto che molti neanche ci si provano. Invece, ecco che la sapienza ci viene presentata più come un atteggiamento che come un risultato.

Proprio così. A un certo punto possiamo decidere di smetterla di agire impulsiva ente e cominciare a comprendere, a permeate le situazioni. Da quel momento non diventiamo certamente perfetti, ma ci e leviamo immediatamente al di sopra di quello che siamo stati fino a quel momento.