Di recente ho avuto modo di guardare un video sul canale Youtube di Come La Vita Quando Ti Sorride. Puoi guardarlo a tua volta partendo da qui sotto e cliccando su “Guarda su Youtube”.
L’autore del video (e dominus di CLVQTS) Mario Robecchi elenca sette errori che facciamo in genere senza pensarci. Per ciascuno di essi mi sono permesso di condividere alcune personalissime riflessioni.
- Mancanza di una meta. Errore capitale. Se non abbiamo un progetto nostro rischiamo di finire dentro al progetto di qualcun altro. Il che può anche andarci bene per un periodo, solo che dobbiamo tenere in conto che come facciamo gli interessi nostri noi non li fa nessuno, e che del resto gli obiettivi degli altri possono semplicemente non coincidere con i nostri.
- Valori confusi. Che cosa è davvero importante per noi? A volte pensiamo di saperlo, ma non è così. Corriamo da una parte e dall’altra, inseguendo compiti urgenti ma non importanti, e soprattutto urgenti per qualcun altro e non importanti per noi. Capire quali sono i nostri valori ci aiuta a decidere quali compiti sono davvero vitali per il nostro progetto di vita.
- Priorità sbagliate. Derivano anch’esse dalla mancanza di una meta precisa. Se non sappiamo dove stiamo andando sarà difficile mettere in ordine le priorità, ovvero cosa dobbiamo fare prima e cosa dobbiamo fare dopo. Sguazzeremo in un garbuglio di cose che si accavallano le une sulle altre, in un busy-ness senza una direzione che alla fine della giornata – della vita? – ci lascerà con una grande stanchezza, un pesante mal di stomaco e – cosa ancora più grave – con la sensazione che in fondo non abbiamo combinato moltissimo.
- Scarso entusiasmo. Ovviamente, se non abbiamo un piano preciso sarà difficile che crediamo in quello che stiamo facendo. Il caso tipico è quello del lavoro fatto esclusivamente per la pagnotta. Già la sera precedente andiamo a dormire pensando qualcosa tipo che palle, domani devo tornare in ufficio, o in fabbrica, o dovunque accidenti devo andare in base a un contratto che, accidenti a me, ho firmato. Questo per noi dovrebbe già essere un campanello d’allarme. O cambiamo lavoro, oppure troviamo qualcosa di interessante e significativo in quello che stiamo facendo. Questo ovviamente vale per ogni ambito della nostra vita.
- Ricerca di stimoli esterni. Non dovremmo mai consentire agli altri di definirci. Spetta a noi, e solo a noi, prenderci la respons-abilità della nostra vita. Spesso invece cerchiamo dagli altri una conferma della bontà del nostro agire, conferma che però non può che venire dalla nostra coscienza. Senza contare che raramente gli altri sono inclini a farci dei complimenti. Dal punto di vista strettamente statistico, sarà più probabile che ci ignorino o che cerchino di sminuirci per sentirsi meglio loro. In ogni caso, meglio fare affidamento principalmente su noi stessi, una volta che abbiamo stabilito il nostro piano.
- Poca autostima. Se noi per primi non crediamo a noi stessi, sarà difficile che gli altri credano in noi. Anche per un motivo piuttosto semplice: i primi respons-abili della nostra vita siamo noi. Questo ci viene riconosciuto, per usare una locuzione in uso da un po’ di tempo, senza se e senza ma. Gli altri possono interessarsi a noi, anche in modo benevolo e perfino affettuoso, ma non si tratta di un fatto scontato. Quindi, è opportuno pensare sempre che possiamo affrontare le nostre sfide anche con le nostre sole risorse. “Autostima” significa esattamente questo: non tanto pensare di essere Superman, quanto essere certi di poter imparare e quindi evolversi.
- Nessun progetto sociale. Il nostro progetto dovrebbe essere sì soddisfacente per noi – e ci mancherebbe – ma meglio ancora sarebbe se ha un valore vitale, e quindi etico, anche per gli altri. In questo modo, infatti, si esce dalla solitudine. Ad esempio, nel mio personalissimo caso, scrivere questo blog ha sicuramente un grande valore per me, perché scrivere mi aiuta a puntualizzare e chiarire a me stesso i miei pensieri. Allo stesso tempo, quello che scrivo si inserisce in un flusso informativo. Il fatto di averlo reso pubblico, infatti, comporta automaticamente che qualcuno possa leggerlo, e mentre legge possa fare le proprie considerazioni su quello che ho scritto. Che poi entriamo in relazione diretta o meno, questo ha scarsa importanza. Ciò che conta è il processo comunicativo in sé.