Precisiamo!

La chiarezza di intenti e di obiettivi è fondamentale per vivere una vita piena e ricca di senso. Fateci caso, quando siamo poco entusiasti è perché in genere abbiamo degli obiettivi sfuocati. Insomma, non sappiamo come sbrogliarcela.

Quando la Matassa si impadronisce della nostra mente, quando ci sono troppe cose che si contendono le nostre energie, è facile pensare di aver perso la strada, e cadere in uno stato di incertezza, in un senso di inadeguatezza che può portare a una caduta di autostima. Il che non è esattamente il massimo. Cominciamo a immaginare degli scenari terrificanti. Ma questo sarebbe il meno. Il punto è che questi scenari sono anche molto confusi.

Infatti, se qualcuno ci chiedesse che cosa temiamo esattamente, la maggior parte delle volte non sapremmo dirglielo. Sentiamo come una nuvolona nera nera che incombe su di noi. Il punto è che questa nuvolona non ci serve a nulla. Ci stanca senza produrre risultati utili. Anzi, facciamoci caso: ci spinge a fare delle azioni controproducenti, delle solenni cazzate.

Questo perché la nuvolona è fatta di cose che pensiamo di non poter affrontare. Davanti alle situazioni che si annidano nella nuvolona riteniamo di non riuscire ad essere respons-abili, cioè capaci di rispondere.

E’ bene notare che si tratta di una nostra opinione. Infatti, in primo luogo si tratta di un nuvolone, quindi di un qualcosa di confuso, incerto, sfuocato. Come si può essere respons-abili davanti a qualcosa che non conosciamo?

Ne deriva che per stare meglio, per essere respons-abili, dobbiamo conoscere meglio il nuvolone, farci amicizia e quindi spezzettarlo in nuvoloncini più piccoli, sempre più piccoli, fino a trovare un mini-nuvoloncino che possiamo gestire. Che ci spaventa ancora un po’, ma non come il nuvolone originale.

Di questo mini-nuvoloncino dobbiamo adesso considerare ogni aspetto. Dal momento che ci spaventa solo un po’, possiamo avvicinarlo e vederlo nei dettagli. In cosa consiste esattamente? Cosa c’è dentro? Un problema di lavoro, di amore, di denaro?

Cerchiamo di vederlo come fosse un film. Quali immagini evoca, quali suoni, quali sensazioni? Davvero è una situazione di fronte alla quale non riusciamo ad essere respons-abili? In tal caso, dividiamolo in nuvoloncini ancora più piccoli, finché sentiamo che con un po’ di impegno possiamo imparare qualcosa, e diventare quindi più respons-abili.

A cosa servono le giornate “No”

Avete presenti le giornate “no”? Quelle dove sembra, e dico sembra, che ogni cosa si diverta ad andare per il verso “sbagliato” (ovvero, diversamente da come vogliamo noi). Bene, ultimamente sto pensando che anche quelle abbiano un senso nell’economia della gestione delle nostre energie,

Qualcuno potrebbe guardarmi storto (o meglio, potrebbe guardare storto il monitor del computer o il display dello smartphone). Che diamine, le giornate no sono giornate no e basta, il mondo è una valle di lacrime e noi dobbiamo soltanto sopportare la sfiga perenne che ci sovrasta.

All’apparenza, tutto molto ragionevole. Se non fosse che accettare, o meglio sopportare, la giornata no ci de-respons-abilizza, ovvero ci toglie la capacità di rispondere. Dal momento che le “giornate no” comunque ci sono, forse è il caso di dare loro un senso.

Ed ecco dunque quale senso sono abituato a dare alle giornate “no”. Se accadono cose “negative” (cioè che non ci piacciono) è essenzialmente perché non siamo (ancora) abili quel tanto che basta per gestirle. Se fossimo abili a gestirle, non le noteremmo neanche. Quindi, in definitiva, la giornata no ci segnala degli aspetti della vita rispetto ai quali possiamo evidentemente diventare più respons-abili.

Facciamo qualche esempio concreto: come definiamo la “giornata no”? La mattina ci alziamo stanchi, con l’impressione di non riuscire ad arrivare a fine giornata. Controparte respons-abile di questo stato d’animo: come posso gestire meglio le mie energie?

Ci sono centinaia di riposte a questa domanda. La mia è che cerco di “amare il mio nemico”. Ovvero, mi sforzo di voler bene anche alle cose e alle persone che non mi piacciono. Questo porta a un minore spreco di energie. Oppure, cerco di capire al meglio come funziona il mio corpo, per fare le cose più importanti quando l’energia è al massimo. Riduciamo così il numero di giornate no.

Altro esempio: dobbiamo andare al lavoro, siamo quasi in ritardo e l’auto non parte. Cominciamo ad elencare tutte le madonne di questo mondo e di quell’altro. Giornata no! Controparte respons-abile: una volta finito di smadonnare ed essere arrivati in qualche modo al lavoro, vediamo qual è stato questo “qualche modo”. La prossima volta che l’auto non parte potremmo saltare la parte dello smadonnamento, utilizzare questo “qualche modo” in automatico e risparmiare tempo ed energia. In sostanza, ridurremo il numero di “giornate no”.

Altro esempio ancora: ci arriva una multa imprevista. Anche qui, cominciamo a importunare la Fortuna e l’Universo, lasciando che questo atto amministrativo ci sottragga un tot di energia e ci negativizzi l’intera giornata. Controparte respons-abile: rendiamoci conto che, nonostante la nostra prudenza, le multe possono arrivare. Anche qui, centinaia di soluzioni. A puro titolo di esempio, vi passo la mia: dopo un minimo sindacale di accenno di smadonnamento, respiro profondamente, sorrido e mi chiedo: come posso serenamente pagare questo insignificante atto amministrativo? Come posso organizzarmi per evitare di prendere questa multa la prossima volta? Riduciamo il numero di giornate no.

Come abbiamo visto, l’utilizzo più proficuo delle giornate-no è l’acquisire nuove abilità che ci rendano più respons-abili, più capaci di rispondere.

Intenzioni ripulite

Se il risultato deriva dall’azione, e l’azione deriva dai pensieri, sembra sensato porre molta attenzione alla qualità dei pensieri che abbiamo in testa. Sarai d’accordo con me che spesso questi pensieri sono un po’ pestiferi e limitanti.

Non approfondiamo il perché sia così. Per il momento prendiamolo come un dato statistico. Pare tuttavia evidente che, con questo tipo di pensieri in testa, le nostre azioni saranno anch’esse un po’ pestifere e limitanti.

E i risultati? Anche quelli probabilmente saranno un tantino limitanti e pestiferi. E a loro volta genereranno pensieri pestiferi e limitanti. Un perfetto esempio di come si può girare in tondo.

Esiste un modo per uscire da questo cerchio? La mia personalissima esperienza dice di sì. La soluzione che ho trovato è la consapevolezza. Ovvero, essere coscienti di quello che facciamo, e prima ancora di quello pensiamo.

Ho anche notato che tra pensiero e azione c’è come un’intercapedine, uno spazio dove possiamo operare. Lo chiamerò intenzione. Cioè, il progetto che portiamo avanti. Studiando le intenzioni, possiamo valutare la loro qualità.

Questa azione, questa cosa che voglio fare, e che nasce dai miei pensieri e dai miei giudizi, mi aiuterà ad aumentare la qualità complessiva della mia vita? Allora la faccio. Se viceversa noto che questa azione nasce da un impulso incontrollato o da una voglia di rivalsa, allora forse sarà meglio lasciar perdere.

Tutto questo, è bene notare, si basa sulla consapevolezza. La consapevolezza è un’abitudine, come un muscolo, che si rafforza con l’uso. Esattamente come si va in palestra ad allenare i bicipiti, si può allenare la consapevolezza. Sviluppando la consapevolezza, si può ripulire l’intenzione. Di conseguenza, otteniamo risultati migliori.

Gestire il lutto, la malattia e la morte

Occorre essere respons-abili anche, direi soprattutto, nella gestione delle cose che non ci piacciono. Se c’è una cosa che non ci piace è la morte, specialmente preceduta dalla malattia. La nostra civiltà, quella occidentale intendo, schifa la morte e la malattia, perché si presume che dobbiamo sempre essere vincenti, performanti, al top. E ovviamente la malattia e la morte sono la negazione di tutto questo.

Nondimeno esistono, e occorre essere respons-abili anche nei loro confronti. Anche per queste circostanze, occorre decidere come comportarsi, perché prendere decisioni fa risparmiare energia, che altrimenti viene dispersa quando si tentenna da un’ipotesi di comportamento all’altra.

Dal momento che la malattie e la morte sono due cose che non ci piacciono, e che anzi ci suscitano terrore, occorre innanzitutto conoscerle meglio. L’unica via d’uscita dalla paura è infatti la conoscenza. Come possiamo fare in modo che anche queste due cose così schifose diventino gestibili?

Qui ognuno ha la sua risposta, e come sempre in questo blog vi do la mia, personalissima. Per gestire in qualche modo il lutto, la malattia e la morte occorre considerarle esattamente come le altre esperienze di noi esseri umani. ovvero delle esplorazioni. Non sappiamo come evolverà la malattia, nostra o di altri. Come funziona? Di cosa è fatta? Cosa possiamo fare noi per aiutare i medici a curarci, e i nostri cari ad avere meno paura insieme a noi? A mio parere, sono queste le domande che dobbiamo farci.

E la morte? Cosa ne sappiamo di quello che viene dopo? La disperazione che proviamo in molti deriva dalla convinzione che dopo non ci sia nulla. O meglio, che ci sia il nulla. Chi muore non c’è più, e non potremo mai relazionarci di nuovo con lui. Ma bisogna convenire che si tratta di un’opinione, che deriva dal fatto che non possiamo vedere e toccare dei corpi.

In effetti noi non sappiamo come siamo fatti davvero. Secondo alcune teorie, l’essere umano è molto più di un corpo. E’ possibile che qualcosa di noi, chiamiamola come vogliamo, sopravviva quando il corpo “muore”.

Anche se così non fosse, mi pare che la nostra vita cambi molto in meglio se decidiamo di adottare questa credenza, che è una credenza esattamente come pensare che dopo la morte non ci sia nulla. Con la differenza che adottando il convincimento che l’esistenza continui dopo che il corpo fisico cessi di funzionare, siamo in grado di aiutare noi stessi e gli altri a vivere con un livello di energia decisamente più costruttivo.