Cambio rullo!

Chi come me è nato prima degli anni novanta ricorderà che un tempo al cinema i film venivano proiettati usando la pellicola di celluloide. La pellicola era avvolta attorno a degli affari circolari di plastica o metallo chiamati “bobine” o “rulli”. Il proiezionista li montava su un proiettore, ed ecco che scattava la magia del cinema.

La nostra mente sembra proprio funzionare come un proiettore. Mettiamo su dei film, che nella maggior parte dei casi appartengono al genere horror, o nel migliore dei casi a quello drammatico. Secondo me, si tratta di un meccanismo tutto sommato positivo. La mente ti sta chiedendo: cosa faresti se?

La vita ha molta più immaginazione di noi. Possono succedere molte cose: cosa faresti se perdessi il lavoro, il partner, la salute? Queste domande sono oziose solamente se non ci decidiamo a darci una risposta. Una volta che abbiamo stabilito una linea d’azione, tutto ci sembrerà decisamente più semplice.

Per fare questo, però, occorre evitare che la nostra energia se ne vada tutta in stress, nel proiettare questi filmini dell’orrore non per capirli, ma per crogiolarcisi dentro. Quando ci cogliamo in situazioni del genere, occorre cambiare rullo.

Non è complicatissimo. Basta usare l’immaginazione. Chi, come me, ha visto e conosciuto i proiettori, immaginerà che venga smontata la bobina del film dell’orrore e ne venga montata un’altra, quella di un film dove siamo capaci di trovare soluzioni creative alle sfide.

La rivalutazione del tran-tran

Voglio lanciare un messaggio incoraggiante a tutti coloro che si sentono schiacciati dal cosiddetto tran-tran, che ultimamente viene anche chiamato “la corsa del topo (o del criceto)”. Di solito si pensa che una volta che siamo dentro un simile meccanismo, sia impossibile uscirne a meno di ribaltare tutto, lasciare casa e famiglia e andarsene ad aprire il baretto a Santo Domingo.

Ve lo dico subito, non è così. Ecco perchè: “tran tran” o trantran, ci dicono quelli che conoscono la lingua, è “una voce onomatopeica che riproduce il suono monotono di un veicolo in movimento”. Ora, se questo veicolo è in movimento, qualcuno lo ha fatto partire. E dal momento che in questo blog la parola chiave è respons-abilità, penso abbiate già capito chi ha creato la situazione. Esatto: noi.

Ora, intendiamoci: il tran-tran può anche essere piacevole. Nel qual caso, godiamocelo. Se invece, magari, c’è in sottofondo una vocina, una specie di basso continuo che vi sussurra che no, così non funziona, a mio parere qualcosa va fatto. In genere non lo si fa perché si ha paura di perdere quello che magari si è costruito in decenni. Ma è possibile invece lavorare più di fino. E’ possibile fare leva.

Il concetto è abbastanza semplice. Si comincia cambiando solamente alcuni piccolissimi aspetti della nostra routine. Ad esempio, è stato constatato che i maschietti iniziano a farsi la barba sempre con la stessa mano, ad esempio la destra. Ebbene, cominciamo a farlo partendo dalla sinistra. Naturalmente, le femminucce potranno provare altre tecniche, sempre usando una mano diversa.

Sembra una faccenda banale, ma vi assicuro che non lo è. Il fatto stesso di cambiare mano ci obbliga in primis a diventare coscienti di quello che stiamo facendo, e in secondo luogo ci porta ad usare dei percorsi mentali e neurali completamente diversi. Si cominciano a rivalutare le azioni che compiamo tutti i giorni, sviluppando la nostra consapevolezza.

E’ l’inizio di un cammino così poco traumatico da non portare – almeno non subito – grandi sconvolgimenti. Ben presto, tuttavia, ci renderemo conto che un piccolo cambiamento porta a tanti altri piccoli cambiamenti, che nel loro complesso ci riportano nel flusso più importante: quello della nostra evoluzione.

Irrimediabile

Sappiatelo: nella vita non esiste niente di irrimediabile. Certo, a momenti può sembrare che sia così. Ma è solamente che veniamo sfidati a diventare più grandi dei nostri “problemi”. E notate che metto questa parola tra virgolette. Perché i problemi, semplicemente, non esistono. Dobbiamo piuttosto etichettarli come sfide, da disassemblare nei loro componenti fino a quando non troviamo qualcosa che possiamo gestire, un obiettivo ben definito che possiamo affrontare con un po’ di buona volontà.

Etichettare qualsivoglia cosa come “irrimediabile” fa immediatamente scattare il comodo ma deleterio meccanismo di “de-respons-abil-izzazione”. Ovvero, decidiamo speciosamente di non diventare respons-abili, abili a rispondere. Scarichiamo tutto su un Qualcosa al di fuori di noi – Dio, Allah, l’Universo – e ci atteggiamo a vittime. Una scelta come un’altra, che però non ci conviene. Già, perché starcene nella nostra zona di confort non solo ci fa rimanere dove siamo – questo sarebbe già qualcosa – ma alla lunga porta all’atrofia i nostri muscoli proattivi. Insomma, non solo rimaniamo dove siamo, ma le nostre possibilità si riducono.

Se invece ci atteggiamo a protagonisti, le cose cambiano parecchio. Superato l’eventuale smarrimento che ci provocano “problemi” nuovi, si cominciano a trovare soluzioni creative. Usciamo, come si dice, dalla scatola. Ampliamo le nostre competenze, impariamo qualcosa di nuovo. Quello che sembrava irrimediabile, non lo è più.

Scelte e decision fatigue

La mia esperienza di vita mi dice che molta della nostra energia se ne va nel decidere cosa fare piuttosto che nel fare qualcosa. E’ un po’ come la batteria del cellulare. Più app tieni aperte, maggiore è il consumo di batteria. E questo non accade solo per le decisioni “importanti” (comprare l’auto, una casa, sposarsi…) ma anche semplicemente per decidere quale piatto scegliere al ristorante, o quale vestito indossare la mattina.

Tutto questo, sommato all’incredibile numero di distrazioni e stimoli che ci offre la società moderna porta ad una colossale dispersione di energia. Ci ritroviamo distrutti fisicamente, e, ancora peggio, mentalmente. Peraltro, siamo convinti di non aver combinato granché. Il che contribuisce a farci sentire ancora più stanchi.

Sarete d’accordo con me che non è un buon affare. Rischiamo di perderci nei dettagli. Che poi, per carità, servono anche quelli, ma devono essere inseriti in un piano che abbia un senso, che sia vitale. Senza un piano, è facile essere risucchiati in piani di altri, che potrebbero anche non essere esattamente allineati con il nostro bene e il nostro interesse.

Quando ci troviamo in una situazione del genere, come possiamo uscirne? Secondo la mia esperienza, in prima battuta è utile usare un po’ di “batteria” per fare ordine, per individuare le priorità. Chi siamo? Che cosa vogliamo davvero? Quali sono i nostri valori, i nostri interessi? E’ da qui che è meglio partire, piuttosto che vivere un tantino a casaccio. Da qui discendono le azioni che serve compiere, e da qui capiamo a quali “dettagli” è opportuno dare attenzione e a quali no.

In questo modo, tornando alla metafora dello smartphone, possiamo chiudere le app che (al momento) non ci servono, e tenere aperte quelle che invece possiamo usare per generare valore per noi e per gli altri. In questo modo la “batteria” sarà utilizzata meglio… e durerà probabilmente anche più a lungo.