Anche nel campo della salute vale il concetto che abbiamo sviluppato finora, vale a dire quello della respons-abilità. Non c’è dubbio che la scienza sia molto progredita, che abbia raggiunto delle vette assai notevoli. E’ anche vero però che molta strada rimane ancora da percorrere. Nonostante gli encomiabili sforzi degli scienziati, molte cose rimangono oscure, a partire, appunto, dalla materia oscura. Non c’è quindi da stupirsi se anche quando si parla di salute parecchio sia stato fatto, ma assai di più rimanga da fare.
Direte voi, ma allora non devo più fidarmi del mio medico curante? Certo che sì. Soltanto che a mio parere bisogna smetterla di vederlo come un depositario della Verità, e piuttosto come un consulente. Una persona che sicuramente ne sa più di voi nel campo della salute, e che ha il compito di darvi informazioni comprensibili su come state e, nel caso, su come potete stare meglio. Niente di più, niente di meno.
Ricordiamoci quello che dicevamo all’inizio: noi siamo respons-abili. Dobbiamo ascoltare tutti, senza per questo metterci nelle mani di nessuno. Quelle che escono dalla bocca del medico sono opinioni. Qualificatissime, senza dubbio. Da prendere nella massima considerazione. Ma cionondimeno rimangono delle opinioni, e non dei dogmi, degli ordini superiori a cui obbedire senza discutere.
A maggior ragione, evitiamo di confondere delle diagnosi con delle sentenze. Quando vi viene detto che avete la coglionite aggravata, per esempio, e che vi restano, tipo, sei mesi di vita, si tratta semplicemente di una conclusione tratta dai vostri sintomi, dagli esami clinici e da statistiche, non di un diktat che determina la durata della vostra vita residua.
Il primo motivo per cui vi dico questo è che ognuno di noi è un caso a sé stante. Le statistiche, come diceva il poeta, sono quella cosa per cui se io mangio un pollo e voi ne mangiate due, abbiamo mangiato un pollo per uno. Fanno una media, magari descrivono anche una tendenza, ma nel modo più assoluto non sono in grado di prevedere il futuro, tanto più per un singolo individuo.
Quindi, il mio invito è quello di prendere prescrizioni e diagnosi con beneficio di inventario, senza spaventarsi. Ho visto troppa gente andare nel panico dopo una diagnosi di, apro virgolette, “malattia terminale”, chiudo virgolette.
Secondo me, si tratta di una diagnosi imprecisa. Bisognerebbe forse piuttosto dire “malattia statisticamente terminale”. Non possiamo sapere come risponderà il nostro corpo, sia da solo che ai farmaci. Non possiamo sapere quale soluzione potrebbe portarci domani mattina la tecnologia medica, o la semplice forza vitale di ciascuno di noi.
Quindi, come comportarsi? Semplice: dobbiamo essere respons-abili. A mio parere, uno dei passi fondamentali da fare è conoscere come funziona il nostro corpo. Un bravo medico non prescrive solo medicinali, ma da anche delucidazioni su come si è creato il problema che ha portato alla prescrizione del farmaco, e su come eventualmente possiamo comportarci perché, magari, un giorno il farmaco non sia più necessario.
Già: perché mi fanno morire (è il caso di dirlo) i medici che affermano: questo farmaco lo dovrai prendere a vita. E’ una delle barzellette più divertenti che abbia mai sentito. Hai la sfera di cristallo, o leggi i fondi del caffè, che sai per certo che per tutta la vita dovrò assumere quel farmaco? E se domani mattina qualcuno inventa una cura definitiva? O se invece viene scoperto un metodo per guarire senza farmaci?
Lasciamo poi stare il fatto che i farmaci, eventualmente, dovrebbero curare la causa della malattia e non i sintomi. O per meglio dire, bene alleviare i sintomi, ma poi occorre andare alla radice della malattia, alla sua causa. E prima ancora, occorre sviluppare dei metodi per conservare la salute.
Anche qui, bisogna sapere come funziona il nostro corpo. Costa fatica? Senza dubbio. E’ una faccenda che rientra nella respons-abilità. Bisogna informarsi. Rubare un po’ di tempo al divano, e interessarsi all’approfondimento di come siamo fatti. Ascoltare il nostro corpo. Rendersi conto del perché ci manda certi segnali. Si tratta di un’abitudine, e come tutte le abitudini si acquisisce.