Non giudicare, non lamentarti

Il giudizio e la lamentela sembrano essere un vero e proprio sport della nostra epoca. Sappiamo poco, pochissimo, quasi nulla, di quello che è davvero l’universo, eppure siamo sempre lì a giudicare, cioè ad affermare che la tale o tal’altra cosa sta nel tale o tal’altro modo.

Intendiamoci, trarre conclusioni è il nostro mestiere di uomini. Se non fossimo stati capaci di giudicare le situazioni, probabilmente non ci saremmo neanche evoluti come specie. Tuttavia, ci sono momenti in cui giudicare non è esattamente la scelta migliore. Si tratta di quelle situazioni in cui il giudizio non ci serve per crescere ed avanzare. Insomma, quando non è vitale.

In genere, quando ci ritroviamo con un giudizio non vitale è perché non abbiamo informazioni a sufficienza sulla situazione che stiamo considerando. Un esempio classico è il giudizio: non sono capace. Si tratta di uno dei giudizi più deleteri in assoluto, anche perché è uno dei più imprecisi. Infatti: rispetto a che cosa non sono capace?

Di solito, il senso di incapacità indica che non si è suddivisa la questione in elementi abbastanza semplici da poter essere gestiti con un po’ di impegno, consentendo così di superare la presunta incapacità. Càpita spesso, invece che si scelga di rimanere incapaci, perché approfondire le questioni può essere faticoso, e perfino minacciare lo status quo. Insomma, il giudizio limitante de-repons-abilizza.

Ed ecco che nasce l’abitudine alla lamentela. Ovvero, il vezzo di lamentarsi di una situazione senza peraltro fare alcunché, quantomeno per comprenderla meglio. La lamentela è arrivata al livello di vera e propria disciplina sportiva. Quando due o più persone si incontrano, è molto facile che parta una vera e propria gara di lamentele: sul tempo, sull’economia, sulla salute, su qualsiasi cosa.

Dopo una sessione di gara di lamentele, sembra quasi di sentirsi meglio, più “normali”. Peccato che la lamentela, al pari del giudizio limitante, sia quanto di meno vitale esista sulla faccia della Terra. Lamentandoci, non facciamo altro che piantarci ben bene nella testa il giudizio limitante che ha dato origine alla lamentela.

Ecco il motivo per cui è fondamentale, almeno, smettere di lamentarsi. Naturalmente, trattandosi di un’abitudine che con il tempo è divenuta automatica, occorre mettere in campo la consapevolezza. Cominciamo a riproporci di ascoltarci mentre parliamo. Prima o poi, ci renderemo conto che ci stiamo lamentando di qualcosa. “Eccomi qua: mi sto lamentando”.

Ben presto, ci renderemo conto di quanto spesso ci succeda. E col tempo, impareremo a bloccare la lamentela prima che venga pronunciata. Questo ci aiuterà anche a diminuire la forza del giudizio limitante che sta alla sua base, e a conservare energie per analizzare più consapevolmente la situazione.

Increspature…

L’obiettivo è rendere la nostra mente come un mare calmo. Di conseguenza, dobbiamo lavorare sulle increspature che spesso si verificano in particolare sulla superficie di questo mare. Fuor di metafora, è utile porre grande attenzione a tutto ciò che ci turba e/o ci infastidisce.

Questo perché i fastidi sono proprio ciò che ci indica su che cosa può essere utile lavorare in quel dato momento. Di solito cerchiamo di evitare i fastidi perché – guarda un po’ – sono fastidiosi. Cioè, ci creano disagio.

Ci rifugiamo quindi nelle distrazioni, che peraltro non sono un male in sé, dal momento che possono alleggerire il problema e liberare energia, purché non ne veniamo totalmente risucchiati, come invece spesso succede.

Una volta quindi recuperata un po’ di energia grazie a un sapiente uso della distrazione, torniamo a occuparci di ciò che ci disturba.