Il Pungolo, e come schivarlo

Se non abbiamo un progetto nostro, molto probabilmente finiremo nel progetto di qualcun altro, e saremo soggetti al Pungolo. Ovvero: la persona o il gruppo di persone che ci vuole coinvolgere nel suo progetto ci pungolerà, cioè ci stimolerà in modo che seguiamo le sue direttive.

È bene sottolineare che la metafora del Pungolo viene dal governo degli animali. Secondo il dizionario Treccani si tratta infatti di “un bastone che porta infissa a una delle estremità una punta di ferro e serve a pungere buoi o altri animali per stimolarli a procedere“.

Non un bel termine, vero? Intendo dire, a nessuno piace essere trattato come un animale, o per meglio dire, come non dovrebbe essere trattato nemmeno un animale. Ma tant’è: c’è chi pensa che “il popolo”, “la massa”, “la gente”, o come altro vogliamo chiamare un aggregato di esseri umani considerato come indistinto, si debba guidare più o meno come si fa con le mandrie.

Naturalmente, in questo caso il Pungolo è con la maiuscola perché lo consideriamo come un concetto astratto. Di solito non si bastonano fisicamente gli esseri umani, o almeno non càpita così spesso come con gli animali. Chi intende guidare gli  altri usa dei Pungoli più sottili, che vanno dall’intimidazione alla paura vera e propria passando per il paternalismo.

Intendiamoci, almeno finché ciascuno di noi non sarà finalmente in grado di autogovernarsi avremo bisogno di leader che abbiano almeno una vaga idea di dove andare. Questo però noin comporta necessariamente seguire in modo pedissequo gli input che riceviamo. Ovvero, quando sentiamo il Pungolo, domandiamoci, anche così per curiosità, se la direzione in cui ci spinge è coerente con i nostri migliori interessi.

La mia prima prefazione…

Quella che segue è la prefazione che ho avuto l’onore di scrivere per il libro di Giancarlo Fornei “Autostima zero”

Quando ho conosciuto Giancarlo Fornei facevamo entrambi un altro mestiere. Io mettevo dischi alla radio e ci parlavo sopra, lui si occupava del marketing e della vendita di spazi pubblicitari. Già allora si vedeva il grande comunicatore e il coach, in primis di se stesso e poi anche dello staff della radio. Tra noi nacque immediatamente un notevole feeling. In seguito, Giancarlo passò al coaching e alla consulenza a tempo pieno, e insieme varammo il suo primo sito, www.giancarlofornei.com.

Erano i tempi pionieristici di Internet, e la comunicazione via web era un po’ un oggetto misterioso. Ma proprio per questo sono stati momenti entusiasmanti, che ci hanno insegnato tantissimo. Un bagaglio di conoscenze che, come spesso capita, ci siamo portati anche nei mestieri che facciamo oggi, sempre legati alla comunicazione: Giancarlo nel coaching, e io nel giornalismo.

La prima volta che sono entrato nello studio di Giancarlo, peraltro, sono rimasto impressionato dal numero di libri – centinaia – presenti sugli scaffali. Ancora più impressionante sapere che li aveva letti tutti, accumulando conoscenze equivalenti a non so quante lauree e quanti master. Non stupisce quindi che il mio carissimo amico venga chiamato in giro per l’Italia come coach di importanti organizzazioni, né che a sua volta sia autore ormai di decine di libri.

In questo libro si parla in particolare di un aspetto importantissimo della comunicazione, quella con noi stessi, e soprattutto della qualità di questa comunicazione, che deve essere la migliore possibile. Quando si raggiunge questo obiettivo si parla di autostima. Ovvero, dell’atteggiamento che ci porta a pensare di avere delle qualità positive che possono aiutarci a migliorare la nostra vita a prescindere dalla situazione in cui ci troviamo in questo momento, per negativa che sia.

Già, perché in definitiva si torna sempre lì, al detto aiutati che il ciel t’aiuta. Insomma, al concetto di respons-abilità, ovvero l’abilità di rispondere, di essere protagonisti della nostra vita. Di agire in prima persona prima di tutto a livello di atteggiamento, prendendo coscienza del fatto che ogni problema, per quanto possa apparire complesso a prima vista, può sempre essere suddiviso in pezzi sempre più piccoli, fino a trovarne qualcuno che possiamo gestire adesso.

Troppo spesso ci dimentichiamo di questo concetto. In genere deleghiamo a un’entità astratta chiamata “mondo” il giudizio su noi stessi. Il punto è che il “mondo” ha altro da fare che confermarci ch siamo bravi e belli. Per carità, può accadere, come no. Ma se fossi in voi non ci conterei troppo. Succede più spesso il contrario. Per motivi che non staremo ad analizzare, è molto più frequente che il “mondo” tenda in genere a farci sentire piccoli piccoli. Ci fa sentire vittime in un ambiente pieno di carnefici.

Ne deriva che dobbiamo essere noi i primi a pensare, come minimo, di non essere poi così male. A non aver paura di sbagliare, perché alla fine quelli che sembrano fallimenti non sono altro che esperienze. E soprattutto, dobbiamo sapere che cosa vogliamo, suddividerlo in passi gestibili, e agire di conseguenza.

Aosta, Maggio 2023