Film “Steve Jobs”, di Danny Boyle

A cura della Redazione Spettacoli 
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Per tutti quelli che non lo sapessero, Aaron Sorkin è considerato uno degli scrittori e sceneggiatori più importanti al mondo. Autore di un cult della serialità televisiva, West Wing, Sorkin sa come pochi altri stordire lo spettatore con il profluvio di parole dei suoi personaggi, che affascinano o infastidiscono in egual misura, ma quasi mai lasciano indifferenti. Ecco perché l’idea che proprio lui potesse scrivere un film dedicato ad una delle figure più importanti e controverse degli ultimi anni, Steve Jobs, faceva già discutere prima che lo stesso film vedesse la luce.
L’opera, diretta da Danny Boyle e interpretata splendidamente da Michael Fassbender, è un magnifico esempio di biopic. Originale e non banale, quello di Boyle è un ritratto inedito del fondatore della Apple, immortalato in alcuni momenti chiave della sua vita professionale (sempre alla vigilia della presentazione di un nuovo progetto), che nulla ha a che vedere con la banalità dello stereotipo e che molto dice di un uomo maniacale, poco accondiscendente, geniale ma anaffettivo, circondato da pochi amici veri (la sua assistente, una straordinaria Kate Winslet) e da tanti “nemici”.
L’accoppiata Boyle-Sorkin (difficile scindere le due unità considerato che il film è essenzialmente strutturato su dialoghi massacranti) ci parla di Jobs come di un uomo disperatamente connesso alla vita grazie a pochi appigli, il più importante dei quali è quello della figlia, nata da una relazione giovanile e riconosciuta dopo molti anni. E’ questa figura pura a rappresentare l’ideale controcanto di un artista dal cuore di ghiaccio, sempre proteso al futuro ma essenzialmente incapace di relazionarsi con i suoi simili.
E questo filo rosso che lo lega alla figlia è anche l’elemento narrativo più solido del film che in certi punti tende a slegarsi e a perdere di vista il suo focus, ma che Boyle riesce egregiamente a condurre fino alla fine.