Il mio Reiki

Ormai da un po’ di tempo ho messo una parte della mia testa e del mio tempo nello studio del Reiki. Penso che sia ora di buttar giù qualche appunto circa l’idea che mi sono fatto di questa tecnica, non fosse altro che per chiarirmi le idee concretizzando in scrittura i pensieri che mi passano in mente in merito al soggetto

Nella mia percezione il Reiki è energia che permea tutto l’Universo e tende a riequilibrare tutto ciò che tocca. Non è cosa da poco, considerando che la maggior parte dei nostri problemi di esseri umani sono determinati da squilibri di vario tipo – eccessi e mancanze.

Per chi non conosce il Reiki, ci possiamo rifare a qualcosa che forse il pubblico medio conosce meglio, la pranoterapia. Fondamentalmente, sia il Reiki che la pranoterapia si praticano “imponendo” le mani sul corpo di una persona. Qui però, una volta resa l’idea, c’è da fare un distinguo che sembra sottile ma non lo è più di tanto.

Infatti, mentre il pranoterapeuta usa la propria energia, chi pratica il Reiki usa un’energia che gli scorre attraverso. Questo significa, tanto per cominciare, che mentre il pranoterapeuta a un certo punto deve ricaricarsi, per l’operatore Reiki questo non è necessario. Anzi, più energia utilizza, più si ricarica.

Altra considerazione importante: il fatto che non si adopera la propria energia rende possibile assolutamente a chiunque praticare il Reiki. Non è insomma questione di “essere portati”. Una volta che siamo armonizzati, il Reiki comincia a funzionare indipendentemente dalla nostra forza fisica, dalla nostra condizione culturale, da tutto.

È questa caratteristica che me lo ha reso interessante fin da subito. La possibilità di equilibrare noi stessi in qualsiasi momento è davvero notevole.

Dissolvere il malumore

Uno dei modi di uscire dalla disperazione e dal “disaggio periferigo” è dissolvere il malumore. Ovvero, quella sottile – o non tanto sottile – sensazione di risentimento di quello che siamo abituati a chiamare “il mondo”.

Togliamo subito un blocco alla dissoluzione del malumore: la tendenza al perfezionismo, caratteristico della nostra epoca. Cerchiamo degli interruttori, delle pillole. Qualcosa che funzioni immediatamente e in modo completo e definitivo. Insomma, tutto e subito.

Il punto è che raramente o mai le cose funzionano in questo modo. Ogni cambiamento presuppone un percorso, graduale. Se voglio farmi i bicipiti in palestra, non mi verranno dall’oggi al domani. Saranno necessari tempo, costanza e pazienza. Una merce rara oggigiorno, ma proprio per questo estremamente preziosa.

Quindi, dovremo far conto di esercitarci in palestra. Di tanto in tanto, impegniamoci a pensare che fondamentalmente “il mondo” non esiste O, per essere più precisi, è una costruzione nostra, interna, fatta di opinioni basate certamente su esperienze, ma che nonostante tutto, proprio in quanto opinioni, potrebbero essere sbagliate.

E se sono sbagliate le opinioni, altrettanto sbagliato è il malumore, il risentimento che coviamo contro “il mondo”. Entità che, come abbiamo visto, non ha una sua consistenza reale. Oltretutto, il malumore tende a consumare le nostre energie, che invece potremmo usare per pensieri (e di conseguenza azioni) di carattere molto più costruttivo.

Quindi – che so – mettiamo una sveglia sul cellulare, e quando suona, riflettiamo brevemente su quanto abbiamo detto sopra. Dissolviamo un po’ di malumore, e lasciamo che un tot di energia venga indirizzato verso l’uscita dallo stato di impotenza. Col tempo, vedremo lo sviluppo di un effetto cumulativo che ci spalancherà nuovi, stimolanti orizzonti.

I

La qualità del momento presente

Non possiamo sapere come andranno le cose, e questo rende praticamente l’ansia inutile, anzi insulsa. Tutto quello che possiamo fare è aumentare la qualità del momento presente, concentrandoci su ciò che funziona, e che in quanto tale è vero.

Naturalmente, questo comporta un certo sforzo, perché la cosiddetta realtà – per motivi che qui non interessa approfondire – sembra essere strutturata per crearci momenti che qualitativamente vanno dal deludente al pessimo.

È bene sottolineare da subito che si tratta di un’opinione e non della verità. Lo conferma il fatto che questa convinzione non funziona, non è vitale, e dunque è falsa. Certo, è molto comoda perché ci autorizza ad essere ir-respons-abili, cioè a rinunciare a tenere il volante della nostra vita.

Altro aspetto interessante è che la cosiddetta realtà non fa altro che rappresentare ciò che è accaduto fino a quel momento. Il Passato, niente di più. Questo significa che il Presente e – soprattutto – il Futuro sono nelle nostre mani, almeno in parte.

Dico “in parte” perché naturalmente non possiamo né controllare ogni aspetto del presente né sapere per certo cosa succederà in futuro. Chi mi segue da un po’ ormai avrà capito dove voglio andare a parare: la nostra Respons-abilità fa la differenza.

In qualsiasi momento ci troviamo a vivere, specialmente se sentiamo che non è particolarmente vitale, sta a noi concentrarci su ciò che funziona, guardarci dentro, capire chi siamo davvero, cioè esseri spirituali, la cui ragion d’essere non è il benessere materiale – non solo – ma l’evoluzione e la conoscenza.

E tutto parte dall’unico tempo che davvero esiste, ovvero il presente, che deve essere della migliore qualità possibile affinché le nostre energie vengano dirette alla crescita, all’evoluzione etica.

Uscire dalla disperazione

La disperazione è quello stato in cui è assente la speranza. O, per essere più precisi, la speranza non viene percepita. La soluzione al nostro problema è certamente “là fuori”, ma la nostra mente si è come ristretta, e non siamo in grado di prenderla in considerazione.

Non è una condizione piacevole, e soprattutto non ce la meritiamo. Mai, a prescindere da quanti errori possiamo aver fatto. Perché alla fine non importa dove siamo: quello è il passato. Importa, tantissimo, il futuro, ovvero dove stiamo andando.

Quando ci rendiamo conto di questo, già qualcosa cambia. Comprendiamo che è possibile cambiare le cose un passo alla volta, con fiducia, comprendendo che gli eventuali errori non sono condanne, a patto di imparare le lezioni che ci portano.

Quando adottiamo questo atteggiamento, spesso ci stupiamo di come la soluzione del nostro problema era proprio li, a pochi centimetri dal nostro naso. “Ma allora – ci viene da pensare – chi me lo fa fare di disperarmi?”

Precisamente. Per quanto “disperata” sia la nostra situazione (e spuntano le virgolette) possiamo sempre tornare ai dati, e quindi osservare, capire e agire, mettendo in campo la creatività necessaria per trovare stimoli sempre nuovi.

Sala Comandi

Ho trovato molto illuminante la lettura di un breve pdf di Paolo Baiocchi intitolato La progettazione annuale degli obiettivi. In particolare, mi ha intrigato assai il concetto di sala comandi.

Si tratta di un luogo, una stanza, o comunque un posto tranquillo dove di tanto in tanto sarebbe opportuno ritirarsi per sviluppare la consapevolezza, che in genere dovrebbe essere alternata all’azione.

Infatti, sostiene Baiocchi, spesso agiamo senza pensare, spinti dal meccanismo noto come LIFO, ovvero Last In First Out.

Insomma, l’ultima faccenda che in ordine di tempo ci arriva tra capo e collo per noi diventa automaticamente la più importante, mentre invece si tratta solamente di quella più urgente. Mentre magari altri progetti davvero importanti rischiano di rimanere indietro.

La Sala Comandi ci consente di mettere in prospettiva i vari aspetti della nostra vita. Qui possiamo prendere in mano carta e penna e dare forma scritta ai nostri sogni per cominciare a trasformarli in progetti e quindi in obiettivi.

Per approfondire puoi scaricare l’ebook cliccando qui

Azioni ispirate

Sto scoprendo che prima di ogni azione è assai produttivo verificare il nostro stato d’animo. Non si tratta di mettersi seduti nella posizione del loto e fregarsene di quello che ci capita attorno. Al contrario, ci impegniamo a sentirci meglio possibile in modo che quando agiamo, la nostra azione sia il più possibile proficua per noi e per gli altri. Insomma, sia un’azione ispirata.

Che cosa proviamo quando stiamo per compiere un’azione? Di quale tipo è la motivazione che ci spinge? Stiamo per fare quella cosa perché sentiamo che si tratta di un passo avanti sulla via della nostra crescita, oppure siamo spinti da qualcosa o qualcuno che potrebbe non avere a cuore i nostri migliori interessi, o semplicemente non sa quali siano?

Questo tipo di procedimento riguarda qualsiasi tipo di azione. Anche perché penso che dovremmo fare dell’azione ispirata una vera e propria abitudine. Da quello che mangiamo al rapporto con il nostro partner. Quando stiamo per metterci a tavola, potremmo chiederci se quello che mangiamo ci aiuta oppure al contrario ci toglie energia. Allo stesso modo, potremmo domandarci quale effetto hanno su di noi i rapporti che intratteniamo con gli altri.

Chi sta pensando?

Mario Robecchi, Dal 2020 al 2025: Saggezza per vivere

Ci sono pensieri che in realtà non sono nostri. Vengono da fuori. Sono frattaglie che abbiamo raccolto un po’ dovunque. Dalla televisione, dalla radio, ascoltando conversazioni per strada… Concetti che tendenzialmente non ci appartengono, ma che si aprono la strada nel nostro subconscio per poi riaffiorare in modo che li crediamo nostri.

Va tutto benissimo, finché i pensieri che abbiamo sono etici, cioè vitali. Quando insomma ci aiutano nel raggiungimento dei nostri scopi e/o ci rendono felici. Ma che dire quando invece ci creano degli ostacoli, quando rendono la nostra vita stressante, cupa, piena di ossessioni? Forse è il caso di attivare un po’ di Revisione della Routine.

Quando, infatti, le situazioni ci appaiono oppressive e/o ingarbugliate, può essere utile fare uno sforzo per staccarsene, e cercare di capire quanto siano utili e vitali i pensieri che ci passano per la testa.

Dobbiamo in definitiva chiederci il più spesso possibile chi sta pensando. Noi, o qualcun altro?