Vi segnalo volentieri un libro, “Malacarne, Donne e manicomio nell’Italia fascista “, di Annacarla Valeriano, edito da Donzelli. Il volume tratta dell’ uso fatto a suo tempo dei manicomi per reprimere i comportamenti femminili ritenuti trasgressivi.
L’autrice ha esaminato le cartelle cliniche delle ricoverate in uno specifico manicomio, quello di Sant’Antonio Abate di Teramo, a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento fino al 1950. Ne emerge, appunto, il ruolo del manicomio come luogo dove isolare tutti coloro che, per un verso o per un’altro, avevano comportamenti socialmente non accettabili.
All’istituzione psichiatrica vengono consegnate «quelle donne che rifiutano di conformare il proprio stile di vita agli ideali proposti dal fascismo e che, proprio per questa ragione, hanno bisogno di essere rieducate attraverso la disciplina manicomiale per riportare le loro condotte entro i recinti di una normalità biologicamente e socialmente costruita».
In realtà, precisa l’autrice, questo atteggiamento non è tipico del ventennio fascista, ma derivava già dall’ottocento, e il regime se ne servì per isolare donne che non rientravano nella visione mussoliniana del femminile.